L’imprenditrice culturale e attivista: «Nel giorno simbolo della lotta alla violenza presentiamo un’iniziativa d’arte, Women for Justice, per contribuire alla valorizzazione di un’area urbana di grande importanza storica. In queste opere la bellezza e la forza delle donne diventano antidoto all’oppressione e alla sofferenza»
«Credo nel potere dell’arte e della cultura, strumenti di inclusione, parità di genere e solidarietà» spiega l’imprenditrice culturale e attivista Claudia Conte, che ha ideato e organizzato la mostra in collaborazione con Roma Capitale all’interno dell’iniziativa “L’Isola che non c’era” per promuovere l’aggregazione giovanile.
Le opere di Women for Justice, esposte nello splendido giardino, celebrano la riqualificazione sociale di questa imponente struttura e, per estensione, tutte le altre possibili rinascite umane. È come se queste 21 meravigliose opere urlassero al mondo, attraverso la forza dirompente della loro bellezza, che l’essere umano può fare tesoro dei propri errori e cambiare in meglio» ha proseguito Claudia Conte.
Per offrire a un grande numero di persone la possibilità di visionare le opere e contribuire alla valorizzazione di un’area urbana di grande importanza storica, l’imprenditrice culturale e attivista ha deciso di donare l’intera mostra a Roma Capitale, rendendo permanente la presenza delle opere a Santa Maria della Pietà.
«La condizione delle donne nei Paesi che sono o sono stati scenari di guerra, è da sempre, nella storia della civiltà, profondamente drammatica – aggiunge invece Silvia Salis, vicepresidente CONI – Lo sport in questi contesti, e in generale nei Paesi in via di sviluppo, ha un ruolo fondamentale per le donne nel riappropriarsi del loro corpo e del loro futuro».
Per Parisa Nazari, mediatrice culturale iraniana, «l’iniziativa Women for Justice arriva in un momento storico senza pari per l’Iran. L’uccisione di una giovane donna con il nome curdo Jina, che significa vita, ha dato una nuova vita allo slogan delle donne curde che hanno combattuto contro l’Isis: “Donna, Vita, Libertà“».
A far riflettere sono anche le parole di Shahrbanu Haidari, vicepresidente dell’Associazione solidarietà donne per le donne afgane: «Dall’inizio degli anni ’90 – racconta – in Afghanistan sono le donne ad aver subito maggiormente l’impatto delle regole dei Talebani.
Dalla caduta di Kabul del 15 agosto 2021, l’istruzione rappresenta una delle maggiori restrizioni; ora le donne non possono più neppure uscire di casa senza un uomo, anche soltanto per andare in ospedale. Più il patriarcato e la misoginia crescono in Afghanistan, più si estendono al resto del mondo.
Se non combattiamo questa situazione, si rafforzerà proprio quel tipo di mondo su cui le donne hanno lavorato duramente per cercare di portare il cambiamento a livello globale».