Sonic Belligeranza Megastore è il negozio di dischi guidato da Dj (Riccardo) Balli, King Rico, Ossydiana Speri e il Conte. Con i suoi sei metri quadri è candidato a World’s Smallest Record Shop nel Guinness dei Primati. “Uno spazio per il feticismo della musica su supporto” in via d’estinzione tra vinili, cd, cassette, floppy, flexi, 78 giri, ma anche formati stravaganti come usb dal design particolarmente curato.
Simile al cucinotto delle tipiche case studentesche nel centro storico, è caos organizzatissimo. Dj Balli – autore pubblicato in più lingue, storico DJ e autorità sul tema delle sottoculture coinvolte nella sperimentazione sonora – ci mostra gli oggetti più bizzarri della raccolta mentre i dischi non smettono di girare sul piatto, nonostante le difficoltà economiche che appesantiscono la saracinesca del Megastore. Per questo motivo Balli ha lanciato una campagna di fundraising volta a salvare questo piccolo microcosmo celato tra i portici di Bologna (è possibile fare una donazione a questo link).
Sonic Belligeranza, prima che associazione culturale, nasce etichetta discografica nel 2000 mossa dalle avanguardie della scena dance-elettronica londinesi e si dedica tutt’ora alla produzione di musica breakcore con contaminazione tra ritmiche nere velocizzate e drum’n’bass, hardcore techno, noise con ibridazioni di rumore bianco e suoni metropolitani di matrice industrial e gabber.
Numerose le collaborazioni a cavallo tra progetto musicale e collezionismo, come fitta è la rete di scambio che coinvolge gli associati.
“Un punto d’ascolto che dimostra quanto lo sharing trovi riscontro anche fuori dai social network” – osserva Dj Balli.
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Com’è nata questa esigenza di fare una raccolta anacronistica, come si può accedere?
Con l’etichetta ho iniziato a stampare su vinile, ora usciamo anche su tutti i portali digitali però ci continuano a piacere le specie protette. Il nostro spazio è un WWF dei formati fisici, il nostro simbolo è un koala i cui occhi ricordano il dark punk e la musica hardcore gabber. Lato etichetta c’è tutta una realtà di appassionati; altri negozi di dischi o situazioni anomale come la nostra, oppure gallerie d’arte contemporanea (come il MAMbo di Bologna, che ha tutte le nostre produzioni) e altre etichette che fanno generi simili. Parliamo di una rete internazionale sotterranea di scambio e supporto reciproco. Il tesserato ha accesso a una serie di materiali non ordinari che può suonare e manipolare – siamo attrezzati con un lettore cd, uno per nastri magnetici e un giradischi, perciò il semplice studente può venire ad ascoltare la sua musica qua da noi.
- La richiesta tipo di collezionisti e distributori?
Sono in questo mondo da 30 anni, ho tutto il mio giro; a Parigi abbiamo Toolbox Records che si rifornisce parecchio, a Berlino abbiamo Praxis, loro ci inviano le loro uscite e noi idem. Per i supporti fisici su Discogs.com ogni articolo ha la possibilità di un marketplace online con relativa foto e descrizione. Io nasco dj prima che collezionista, ma ho sempre seguito generi musicali, come l’industrial, in cui il contenitore del disco è considerato egualmente importante rispetto al suono.
- Puoi raccontarci qualcuno di questi dischi d’artista?
Due vinili rotti che fungono da custodia per un cd, gusci in materiali inusuali come legno o metallo, vinili che si aprono a pop-up. Abbiamo anche gli shaped dalle forme più strane, come un vinile punk dai solchi ben visibili, ma è dentro uno skateboard.
- Andando sul concettuale, da cosa deriva il nome Sonic Belligeranza? Leggevo che auspicate una rivoluzione che coinvolga pensiero e dinamiche di relazione attraverso il suono.
Noi siamo contro la guerra. Quello che ci interessa è l’aggressività sonora legata ad esempio ai BPM (Battiti per minuto) veloci tipici della musica per il corpo. Questa è per noi più stimolante rispetto alla musica per la mente (cosiddetta sperimentale) che spesso è ferma a mere pose in cui non viene ricercato nulla di nuovo. Invece, in quel laboratorio che coinvolge anche gli stili di strada – dall’abbigliamento al modo di porsi e di parlare – vengono elaborati veri linguaggi sperimentali; le sottoculture che si riuniscono materialmente attorno a un certo suono, sviluppano mutazioni del linguaggio.
- Anche nei progetti che sostenete c’è molta sperimentazione, negli ultimi anni come etichetta vi siete dedicati alla produzione turntablism (l’arte di manipolare il suono tramite intervento sul mixer da dj), questo rimarca sia il rapporto estremamente fisico che avete con la produzione di suoni, alla cui base c’è l’interazione diretta col supporto, ma la stessa fisicità e interazione caratterizza l’elemento di compresenza che rende possibile l’evoluzione di queste sottoculture.
Esatto, si parla di corpi che si muovono insieme, come responso quasi pavloviano a uno stimolo sonoro che cortocircuita la razionalità.
- Cito: “Sonic Belligeranza intende in questo mondo così codificato e istituzionalizzato offrire qualcosa di diverso per mettere in discussione lo status quo del mondo dell’elettronica da ballo, che è un ambito ancora estremamente interessante perché esprime bene la frenesia dell’uomo nelle megalopoli attuali”. Cosa sta accadendo in Italia?
Lo status quo è il conformismo portato avanti dai festival di musica elettronica italiana che – tranne qualche piacevole e rara eccezione – peccano di provincialismo nello scimmiottare ogni corrente o trend estero presentandolo qui come fosse il non plus ultra, e per farlo confezionano un impianto in cui torna tutto a livello di politicamente corretto, ricerca sonora, abbigliamento sul palco. Suona molto convenzionale, non ha i caratteri di un movimento che viene dal basso, manca di originalità, spontaneità e un linguaggio di espressione elaborato propriamente. Lavorando in eco con i social e la stampa specializzata, questi festival creano presso il pubblico uno stato di incapacità acritica nel valutare cosa sia o meno interessante. Bisognerebbe rischiare con artisti che non rientrano totalmente sotto il radar dei media musicali e gettare le basi affinché si riveli poi una scelta vincente, far leva sulla potenza concettuale del loro lavoro.
- Bologna regge bene per questo suo essere crocevia di diversità? Cosa si salva e cosa rimpiangi di 30 anni fa?
É un momento medio-buono. Bologna è uscita molto bene dalla pandemia, si conferma città con alta densità di giovani, dunque menti aperte a nuove proposte culturali. Chiaramente io ho vissuto la Bologna del vecchio Link, che è stato veramente un laboratorio di innovazione. Parliamo degli anni ’90, un decennio in cui la musica elettronica ha visto la maggiore intensità creativa, è stato un periodo seminale per la formazione di tutti i sottogeneri: dalla techno all’house, fino ad arrivare a techno hardcore, gabber, drum’n’base, jungle, acid…
- Attualmente collabori con quest’ultima gestione del Link. Parlaci del progetto Academy.
Sì è molto migliorato, ha una gestione attenta, sono queste le realtà che mi fanno parlare bene di Bologna perché attente alle novità, capaci di giudizio critico e lavorano sul territorio in maniera esemplare. Link Academy è un’esperienza di radio streaming che organizza anche eventi e cura in maniera assolutamente indipendente le scelte artistiche di line-up, proponendo a 360° le novità in ambito dance-elettronica internazionale.
- Ti sei espresso a sfavore del sistema-musica associandolo al sistema-arte. Non un caso che abbiate fondato Minimega; proprio accanto all‘ingresso del Megastore un contatore elettrico pubblico diventa galleria d’arte, così da un piccolo sportello altrimenti anonimo emergono installazioni retroilluminate. Nel vostro essere legati a una dimensione estremamente fisica, per il modo in cui aprite uno squarcio nel portico col vostro spazio inaspettato e un impeto di base spesso provocatorio vi si potrebbe associare ai tagli sulla tela di Fontana. Vi ci riconoscete?
Fantastico, superlativo. Mi piace talmente questa immagine.
L’idea è quella: cambiare il valore d’uso di uno spazio. La vita è già così deprimente, il divertimento per me è a fondamento della dimensione artistica, che deve mette in discussione, far ragionare e sorridere, anche l’ironia è essenziale.
Seguire dei percorsi totalmente eterodiretti da quello che è il mercato è noioso. Non è una critica di carattere puramente politico al sistema dell’arte, ma seguire una certa linea per avere un certo tipo di riscontro personalmente non mi motiva. Il punto base è divertirsi in quello che si fa.
- Ironia e paradosso sono anche nel tuo libro Sbrang Gabba Gang – Ricostruzione gabber dell’Universo, che remixa manifesti storico-letterari a tema futurista e sottocultura gabber, fusi nell’elogio della velocità. Cito: “Oggi la cassa dritta trionfa e domina sovrana sulla sensibilità degli uomini”. Di che si tratta?
La citazione è ripresa da L’arte dei Rumori, il testo di Luigi Russolo. Io faccio il dj e scrivo, cerco di interpolare i due piani, così il remix dall’ambito della musica dance viene applicato alla letteratura.
Ci ci sono punti di contatto e somiglianze tra un certo futurismo italiano e la musica techno hardcore gabber: l’ossessione della velocità dei BPM per i gabber e l’accellerazione tipica della città industriale in sviluppo dei futuristi.
Altro elemento è l’aggressività: lo stile di strada guerrafondaio dei gabber associato al concetto di guerra come igiene del mondo portato avanti dai futuristi. Ahimè, anche una polarizzazione politica a destra, col futurismo spesso legato al fascismo e la frequente componente nazionalista dei gabber – per quanto qui si tratti di una destra da classe operaia. Nel mio mash-up l’arte dei rumori diventa l’arte della cassa dritta. Suona molto ironico ma anche molto vero per quei giovani che vivono alla ricerca di edonismo e piacere nella notte, così del mondo dei rave.
- La linea politica attuale non agevola i rave…
Fino a 49, da decreto.
- Hai dichiarato che la novità si muove in modo sotterraneo e anonimo. Quali picchi di eccellenza possiamo ricordare nella scena italiana?
A Roma alla fine anni ’80 inizio ’90 si forgiava la novità del momento in fatto di elettronica e cultura rave, al pari di Londra. Una rivoluzione copernicana in cui la rockstar scompare e la musica è il fulcro del party in un tutt’uno col pubblico danzante. Varie le situazioni interessanti ma discontinue, alcune completamente dimenticate come l’etichetta Sinapsi di Genova con Dj Kalopodis, che negli anni ’90 aveva messo su uno spazio a metà tra atelier di moda e negozio di vinili.
L’intuizione era che la ricerca sartoriale andasse di pari passo con l’elaborazione di questo sound da ballo e con la vita contemporanea, perché per la musica dance ogni suono esprime valori legati alla società e resi manifesti nel vestiario delle sottoculture.
- Puoi spiegarci meglio come la cultura rave si fa specchio della contemporaneità?
Ha un aspetto mimetico con vita negli anfratti urbani. La musica dance esprime in maniera efficace la frenesia della vita nelle metropoli, che è fatta di risvegli con il “ping” della notifica su Whatsapp, corse, rumori dei mezzi.
Questo tipo di elettronica spara al corpo in una scena cadenzata da jingle e impulsi sonori.
- Quindi un’interazione convulsa, diremmo violenta, tra il suono e il gesto.
Una sorta di bombardamento psicosomatico che però la musica dance, omeopaticamente – secondo cui somministri un po’ del veleno per guarire – rende catartico. Questo è l’elemento importante, è sfogo anti-violento perché esaurisci le energie negative.
- Mascarella è sempre stata un polo di attrazione e scambio in cui il più naive dei nuovi arrivati poteva confrontarsi con con chi aveva già un contatto con realtà stratificate che hanno implicazioni nel modo di vivere. Nelle immediate vicinanze di Sonic Belligeranza Megastore gravitano una serie di realtà indipendenti, come la libreria Modo Infoshop che pure ha iniziative variegate. Recentemente vi è arrivata una multa di oltre 5 mila euro per questioni burocratiche, che minaccia la vostra permanenza in questa via iconica. Per saldarla avete lanciato una serie di serate e una raccolta fondi online che sta andando discretamente bene, cosa comporterà tutto questo per l’associazione?
Noi vorremmo riorganizzare il DNA del nostro tessuto associativo per rimanere qua. Abbiamo tutte queste sigle; APS, ETS, SPA e via dicendo, noi fino ad ora – concedimi lo scherzo – siamo stati forse un ESP, Extra Sensory Perception – un posto da visionari, nei co-working che si sono avvicendati dal 2013 in vari spazi del centro, da via del Pratello a Mascarella. Ora si tratta di tradurre in maniera più realistica la nostra essenza in una sigla che sia completamente in linea con il tessuto glocale di questa via.
“Sottoscrivendo la raccolta fondi puoi salvaguardare un luogo che, sin dal suo primo vagito, ha fatto dell’aggregazione attraverso i supporti discografici la propria missione. Una feritoia nel muro, con un pizzico di inventiva, può trasformarsi in un MEGASTORE” – Riccardo Balli.
Intervista e Ph in store a cura di Tiziana Elena Fresi.