Dopo il ritiro delle truppe straniere il 15 agosto del 2021 i talebani hanno ripreso il potere nel paese e, nonostante le rassicurazioni fornite alla comunità internazionale sul rispetto dei diritti umani, i fatti dimostrano episodi gravissimi soprattutto rispetto ai diritti delle donne e trasgressione continua degli impegni assunti.
Il ritorno dei Talebani al potere e la situazione delle donne
Il 15 aprile 2021 il presidente degli Stati Uniti Biden annuncia di voler procedere al ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro l’11 settembre dello stesso anno.
I talebani si organizzano, invadono le province del paese e il 15 agosto 2021 si impossessano della capitale Kabul.
I talebani poco dopo, agli inizi di settembre, annunciano un governo ad interim: il capo di stato è Mohammed Hassan Akhund che subentra a Mohammad Ashraf Ghani, fuggito dopo il crollo del governo nel mese di agosto.
I conflitti interni continuano, alimentati dagli attacchi indiscriminati dei talebani nei confronti di attivisti, giornalisti, minoranze etniche e religiose ma soprattutto delle donne.
Le imposizioni sulle donne
Con il ritorno dei talebani al potere tornano le imposizioni nei confronti delle donne; imposizioni che possono configurarsi come una vera e propria persecuzione di genere.
Una ferma oppressione che cela una pesante lotta interna al paese, diviso tra talebani, comandanti militari e società afghana e che dimostra il forte contrasto delle parti nella visione del mondo.
Le donne sono state, prima di tutto, estromesse dai ministeri ed è stato vietato loro di intraprendere viaggi se non accompagnate da un parente maschio.
Lo scorso maggio il leader supremo dei talebani reintroduce l’obbligo del burqa in pubblico, abito che copre interamente il corpo, lasciando scoperti solamente gli occhi.
La reintroduzione di questo obbligo e il non rispetto dello stesso viene, ovviamente, strumentalmente usato per la limitazione di ulteriori diritti delle donne.
Negato il diritto all’istruzione
Alle ragazze è stato, di fatto, negato il diritto all’istruzione secondaria:
l’inizio dell’anno scolastico, previsto a marzo, non ha visto l’apertura dei cancelli, mentre i ragazzi hanno potuto riprendere i loro studi a settembre.
Per le ragazze restano inaccessibili anche i parchi e le palestre.
La segregazione di genere si manifesta anche nel mondo universitario: si impedisce alle donne di ricevere un’istruzione rilevante e significativa.
Molte università private, per consentire alle ragazze di intraprendere un serio percorso di studi, hanno creato aule segregate per genere.
Ma l’ultima decisione, annunciata nel dicembre scorso dal Ministero dell’Istruzione Superiore, ha spazzato via ogni possibilità e ha scatenato le proteste delle donne: il divieto di studiare nelle università, sia pubbliche che private.
Un’interruzione a tempo indeterminato del diritto all’istruzione delle donne afghane che arriva a meno di tre mesi dagli esami di ammissione.
I talebani affermano che il divieto è posto perché le donne non hanno rispettato il codice di abbigliamento.
Una scusa valida per ogni circostanza.
Donne escluse dalla vita pubblica
Con una lettera spedita dal Ministero dell’Economia l’amministrazione talebana ordina, inoltre, alle ONG, anche quelle straniere, di impedire alle dipendenti di andare a lavoro.
Il lavoro delle donne all’interno delle organizzazioni non governative è fondamentale, non solo perché resta uno dei pochi settori lavorativi per loro ancora accessibile ma anche perché le donne, in molti paesi, possono interagire solo con altre donne.
Questo significa che se una donna può ricevere aiuti (cibo, cure mediche) solamente da una lavoratrice donna, le donne sono condannate inesorabilmente alla morte.
Lo stesso Ministero dell’Economia afferma che le organizzazioni che si rifiutano di licenziare le donne vedranno revocate le loro licenze per operare nel paese.
Tagliare fuori dalla società le donne non solo impedisce la possibilità per le donne ma anche per i bambini, di reperire fonti di supporto fondamentali ma significa anche decretare la morte della società intera.
L’Afghanistan versa in grosse difficoltà: i continui scontri sociali, le conseguenze della pandemia e i terribili effetti della crisi alimentare e climatica che affligge il paese rendono di vitale importanza il lavoro delle organizzazioni internazionali.
Questi provvedimenti, o meglio, questi ordini impartiti senza criterio, rischiano solo di peggiorare ulteriormente le crisi in corso.
Save The Children, Norwegian Refugee Council e Care Internazionale, a seguito di questo assurdo ordine, hanno sospeso i loro programmi nel paese.
Le proteste delle donne afghane
Le donne afghane decidono di scendere in piazza: una decisione coraggiosa in un paese che le reprime e le oltraggia costantemente.
Uno degli slogan delle donne in protesta lo scorso dicembre davanti al Ministero dell’Educazione recita “Lavoro, cibo, libertà”.
Uno slogan preciso che racchiude tutto il significato profondo di questa protesta.
Risuona lo slogan “Donna, Vita, Libertà” espresso dalle donne iraniane nelle proteste dopo la morte di Masha Amini: le accomuna la richiesta di libertà come ricerca della libertà di scegliere.
Anche docenti universitari si sono dimessi in segno di protesta, per dimostrare il loro sostegno nei confronti delle donne: un professore in particolare, Ismail Meshal, ha distrutto in diretta televisiva i propri diplomi, affermando:
“se mia madre e mia sorella non possono studiare, allora non accetto questo sistema d’educazione”.
La protesta delle donne cerca di proteggere la società afghana, attraversata da grosse difficoltà, dal tracollo definitivo.
Una società senza donne non può sopravvivere.
Elena Elisa Campanella