Il caso di Alfredo Cospito è fonte di riflessioni e discussioni estremamente delicate sul regime carcerario del 41 bis, ma non solo.
Ancora una volta le vicende che lo riguardano sollevano enormi questioni, sociali ed ordinamentali.
Il caso Cospito: la storia
Alfredo Cospito nasce a Pescara nel 1967.
A ventiquattro anni, nel 1991, il Tribunale Militare di Roma lo condanna a un anno e nove mesi di reclusione militare per “diserzione aggravata”:
Cospito non si era ripresentato in caserma alla scadenza di una licenza per convalescenza, contravvenendo agli obblighi della leva obbligatoria.
Si dichiara “obiettore totale” e anarchico e durante la detenzione inizia uno sciopero della fame ad oltranza.
Nel dicembre dello stesso anno, dopo la richiesta inviata dal padre al Presidente della Repubblica, ottiene la grazia dal Presidente Francesco Cossiga:
grazia che, per gli stessi motivi, è concessa ad altri 150 individui.
Sorge un problema rilevante da un punto di vista ordinamentale:
il fermo rifiuto di Alfredo Cospito di prestare servizio militare avrebbe comportato una sorta di “condanne a catena” che si sarebbero succedute fino al momento del congedo assoluto dal servizio militare, ovvero fino al raggiungimento del quarantacinquesimo anno di etá.
La situazione creata dalle norme allora vigenti appare da subito inconciliabile con i principi costituzionali, in primo luogo con quello della tutela della coscienza individuale.
Così la Corte Costituzionale, chiamata in causa, interviene dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo in questione in relazione alle “Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”.
Gli attentati e le condanne
Alfredo Cospito segue la via della protesta anarchica:
rivendica l’appartenenza alla Fai-Fri, la Federazione anarchica informale- Fronte rivoluzionario internazionale, composta da vari gruppi che agiscono in autonomia e indipendenza; e che, dal 2003 al 2016, si sarebbero resi autori diretti di numerosi attentati contro politici, giornalisti e forze dell’ordine.
Cospito viene arrestato e condannato, nel 2012, insieme al suo complice Nicola Gai, scarcerato nel 2020, per l’attentato e il ferimento all’Amministratore delegato della Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi.
Per questo reato viene condannato a 10 anni e 8 mesi di carcere: vengono riconosciute le finalità terroristiche dell’attentato.
Mentre sconta la pena per questo reato viene accusato di essere responsabile, insieme alla sua compagna, dell’attentato alla Scuola dei Carabinieri di Fossano del 2006:
due ordigni esplodono nella Scuola e, solo per fortuna e per casualità, non ci sono feriti o morti.
Per questa nuova e pesante accusa Cospito viene condannato ad altri 20 anni di carcere per strage comune, un “delitto contro la pubblica incolumità”; e recluso nelle carceri prima di Ferrara e poi di Terni, sempre in regime di alta sicurezza.
Il regime carcerario del 41 bis
Nel maggio del 2022 l’allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia dispone un provvedimento nei confronti di Alfredo Cospito per l’applicazione del regime del 41 bis, al fine di limitare i contatti del detenuto con l’esterno: in quanto appartenente ad una associazione terroristica, per scambi di lettere effettuati da Cospito con altri anarchici e per la pubblicazione di scritti su riviste dell’area anarchica.
Cospito viene, cosí, trasferito da Terni, dove era detenuto in regime di alta sicurezza, al carcere di Bancali a Sassari.
Non solo.
Il Procuratore Generale chiede una riconsiderazione del reato attribuito a Cospito: non più strage comune ma strage politica; una fattispecie che prevede l’applicazione dell’ergastolo ostativo, anche in assenza di vittime, e non prevede la possibilità dell’applicazione di attenuanti.
Quindi non più una condanna per strage comune, intesa come delitto contro la pubblica incolumità, diretto a persone private; ma condanna per “strage politica”, intesa come delitto che pone in pericolo la sicurezza dello Stato.
I giudici di legittimità accolgono la richiesta del Procuratore Generale.
Inizia lo sciopero della fame
Il 20 ottobre 2022 Alfredo Cospito intraprende, ancora una volta, lo sciopero della fame, per protesta contro l’applicazione del regime carcerario del 41 bis.
Presenta reclamo al Tribunale di sorveglianza di Roma, reclamo che viene rigettato.
La difesa presenta, quindi, ricorso in Cassazione:
l’udienza è prevista per aprile 2023, ora anticipata a marzo, viste le gravi condizioni in cui versa il detenuto per il perdurare dello sciopero della fame da più di 100 giorni.
Ma anche quella fissata per marzo è una data troppo lontana vista la situazione di pericolo per la vita di Cospito.
Le attenuanti per particolare tenuità del fatto, in quanto l’attentato alla Scuola dei Carabinieri non ha cagionato né morti né feriti, non sono riconosciute.
Le problematiche che il caso Cospito ci sottopone
Sono numerose le problematiche che il caso Cospito solleva e sottopone prepotentemente alla nostra attenzione.
La rimodulazione del trattamento carcerario (l’ingresso al 41 bis) e la richiesta di un inasprimento della fattispecie (da strage comune a strage politica) è motivata con gli scambi di lettere effettuati da Cospito con altri anarchici e con la pubblicazione di scritti su riviste dell’area anarchica:
scritti che, per la precisione, Cospito inoltrava da 10 anni ma che fino al 2022 non sono stati ritenuti pericolosi.
Sussistono elementi di pericolo concreto che giustifichino queste modifiche sostanziali del capo di imputazione? E se sussistono, quali sono?
In quegli scritti è ravvisabile una concreta idoneità a provocare la commissione di delitti?
I principi costituzionali imporrebbero una maggior considerazione e attenzione al principio di offensività e conseguentemente al principio fondamentale, per il nostro sistema giuridico, della proporzionalità della pena.
È necessario, inoltre, considerare come il regime carcerario del 41 bis sia introdotto con una legislazione di emergenza e, per questo, con carattere inizialmente temporaneo.
Il provvedimento che lo dispone, infatti, ha durata pari a quattro anni, prorogabile per periodi successivi di due anni qualora sussistano ancora i requisiti per la sua applicazione.
Un regime introdotto per una specifica realtà, quella mafiosa, e poi gradualmente esteso ad altre realtà criminali.
Gli interventi della Corte Costituzionale sul regime del 41 bis
La Corte Costituzione è intervenuta più volte sul regime del 41 bis e ha apportato alcune modifiche molto importanti dal punto di vista dei diritti dei detenuti:
con sentenza del 2018 la corte dichiara illegittima parte della disposizione, laddove prevede il divieto di cottura dei cibi imposto ai detenuti;
la corte ritiene si tratti di una disposizione con carattere essenzialmente vessatorio, che determina una disparità di trattamento ingiustificata rispetto agli altri detenuti.
Ancora con sentenza del 2020 la corte dichiara illegittima parte della disposizione che stabilisce un divieto assoluto di scambiare oggetti fra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità:
la Corte ritiene, infatti, che questo divieto non impedisce comunque la possibilità di trasmissione di messaggi all’esterno, potendo questi essere inoltrati attraverso linguaggio verbale e non verbale.
Infine, con sentenza del 2022 la Corte dichiara illegittima la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza tra il detenuto e il difensore:
la Corte ritiene che la disposizione comprima eccessivamente il diritto di difesa del soggetto, impedendogli, ad esempio, di essere tutelato da eventuali abusi da parte delle autorità penitenziarie.
È, dunque, lecito discutere sulla necessità e legittimità, in relazione a singoli casi concreti come appunto quello che riguarda Cospito, del regime carcerario in questione.
I rischi da evitare
Nell’affrontare situazioni come quelle riguardanti gli atti di terrorismo, che investono il pericolo per la sicurezza e la libertà dei cittadini, si annida il rischio di un possibile uso strumentale del concetto di ordine pubblico.
Un concetto molto ampio che possiede natura strettamente politica e che, se astratto dalle direttrici democratiche e pluraliste del sistema, rischia di diventare la valida giustificazione per la limitazione di ogni diritto.
Per evitare la creazione di un vero e proprio “diritto penale del nemico” ed estendere indiscriminatamente il concetto di rischio è necessario discostarsi dalla protesta inconcludente intrapresa da Cospito:
non è possibile considerare l’abolizione integrale del regime del 41 bis (consideriamo le caratteristiche purtroppo peculiari per il nostro paese di fenomeni come mafia e camorra) ma è necessaria una riconsiderazione alla luce del singolo caso;
affinchè lo Stato possa affermare la sua posizione di garanzia della sicurezza dei cittadini e di sopravvivenza dello Stato stesso attraverso la piena garanzia per il detenuto del rispetto dei suoi diritti; evitando, allo stesso tempo, che si creino pericolose commistioni tra mondi criminali.
L’obiettivo è quello di garantire la sicurezza dello Stato:
un obiettivo generale a garanzia dei cittadini, da perseguire con tutti gli strumenti democratici che la nostra Costituzione ci offre.
Elena Elisa Campanella