In ricordo del giovane vigile Giuseppe Macheda, vittima innocente della ‘ndrangheta
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene doveroso ricordare la figura del vigile Giuseppe Macheda. Ucciso dalla ‘ndrangheta la sera del 28/02/1985, alla giovane età di trent’anni. Macheda era un componente della squadra per la repressione dell’abusivismo edilizio e aveva denunciato molti imprenditori e proprietari di edifici abusivi nella zona sud di Reggio Calabria.Attualmente non si conoscono i mandanti e gli esecutori del delitto e la vicenda è stata archiviata.
Capire come sono strutturati i piani regolatori della propria città e qual è l’iter di approvazione dei medesimi può stimolare i giovani ad apprezzare le norme di riferimento urbane, strutturate proprio per non depauperare il territorio e il paesaggio.
Avere rispetto per la propria città deve diventare un aspetto fondante dell’insegnamento dell’Educazione civica.
Pertanto il CNDDU commemora il vigile Giuseppe Macheda per la sua integrità nei confronti del proprio ruolo e dei suoi concittadini. Invitiamo i docenti a inviarci i loro contributi sul tema in questione presso la seguente email: [email protected].
Il CNDDU nella giornata del 28/02 metterà l’immagine di Giuseppe Macheda sulle copertine dei propri canali social per ricordarne la memoria.
Il 28 febbraio del 1985
Il pomeriggio del 28 febbraio Giuseppe partecipa, insieme ai suoi colleghi, a una riunione operativa. Si incontrano nella sede del Comando della Polizia Municipale. Con loro, c’è anche il Pretore Giorgianni. Le cose di cui discutere sono tante e la riunione si prolunga. Poi, al termine del vertice, Giuseppe prende la strada di casa. Intorno alle 20.45 suona al citofono, in via Madonna dell’Itria: “sono arrivato, aprimi il garage”, dice a sua moglie. Poi fa per risalire in auto. Non ci riuscirà.
Il fuoco del killer non gli lascia scampo. Due colpi di fucile a pallettoni, esplosi a distanza ravvicinata, lo uccidono sul colpo. Il rumore degli spari e le urla strazianti di Domenica allertano i vicini. Provano a soccorrerlo, chiamano l’ambulanza, ma ormai non c’è nulla da fare. Giuseppe è morto, ucciso dalla mafia del cemento, a 30 anni. Due giorni dopo, il 2 marzo, si svolgono i funerali in forma solenne.
Il Consiglio comunale, riunito nei minuti dell’agguato, approva un ordine del giorno che conferma la volontà di perseguire l’abusivismo edilizio, sostenendo l’azione dei vigili urbani, che il primo di marzo sfilano silenziosamente per le vie della città.
Qualche anno dopo la martedì Giuseppe, Mimma verrà assunta come vigile urbano. Un modo per sostenere la vita di questa giovane donna e del piccolo Giuseppe, nato nel giugno del 1985. Il percorso di riappropriazione della memoria di questa storia non è stato facile. C’è voluto tempo e impegno, ma alla fine i risultati sono arrivati e oggi la memoria di Giuseppe Macheda è viva.
Vicenda giudiziaria
Le indagini non possono fare a meno di collegare quel barbaro omicidio all’attività di Giuseppe e a quella del pool nel quale lavorava. E così gli inquirenti si mettono al lavoro per andare a fondo nelle attività legate alla mafia del cemento, alle costruzioni abusive. Vengono messe sotto la lente di ingrandimento le aziende impegnate nel settore edilizio e per quali il lavoro di Macheda e dei suoi colleghi aveva costituto o poteva costituire un ostacolo da eliminare. Si arriva nell’ottobre del 1987, poco più di due anni e mezzo dopo l’assassinio di Giuseppe.
I magistrati spiccano tre mandati di cattura per concorso nell’omicidio del vigile urbano reggino. Destinatari dei provvedimenti sono Carmelo Ficara, all’epoca 31enne, Roberto Barreca e Francesco Faccì. Gli ultimi due vengono arrestati, Ficara invece si dà alla latitanza. Secondo gli inquirenti, Ficara, imprenditore edile ritenuto vicino alle cosche Latella e Serraino, aveva messo a disposizione delle organizzazioni mafiose le sue attività, facendo da copertura legale per le attività di reinvestimento del denaro sporco gestite dai clan.
Ma, soprattutto, Ficara in quegli anni lavorava alla costruzione di numerose villette di lusso, costruite praticamente sul mare del litorale reggino di Bocale. Lui dunque, in concorso con gli altri due, sarebbe stato mandante e organizzatore dell’omicidio di Giuseppe Macheda. Nessuna certezza invece sugli esecutori.
La tesi dell’accusa regge al processo e porta alla condanna all’ergastolo di Carmelo Ficara. In appello, però, nel 1990, l’imprenditore verrà assolto. Il suo nome è comparso, molti anni dopo, nell’operazione Monopoli, con la quale, nell’aprile del 2018, la DDA di Reggio Calabria spedisce in galera quattro imprenditori ritenuti espressione della ‘ndrangheta. Tra loro c’è Ficara, che intanto aveva continuato a fare affari.
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