Figura essenziale del movimento femminista, giornalista e attivista per i diritti civili, Anna Maria Mozzoni ha fornito un irrinunciabile contributo al movimento di emancipazione delle donne in Italia.
Anna Maria Mozzoni: la storia
Anna Maria Mozzoni nasce a Milano nel 1837 da nobile famiglia: la madre fa parte dell’alta borghesia milanese mentre il padre è un fisico e matematico.
Nel 1842 la Mozzoni entra nell’ambiente puritano del Collegio delle “Fanciulle nobili e povere” di Milano; e ne esce nel 1851 con idee “tutte contrarie a quelle che si professavano”.
Dotata di forte senso critico reagisce con disgusto all’educazione tradizionale impartita alle donne nel collegio. A differenza di molte compagne inizia, così, a leggere e studiare per combattere la sua battaglia in un mondo prevalentemente maschile.
Il femminismo in Italia
In Italia si inizia a parlare di femminismo con ritardo rispetto ad altri paesi, come gli Stati Uniti o l’Inghilterra. Il paese era impegnato a realizzare l’unificazione e si inizia a parlare di femminismo solo una volta che questa è raggiunta, nel 1861.
Nel Parlamento si affrontano discorsi e valutazioni riguardo al suffragio femminile e fin da subito si creano interessanti contrapposizioni concettuali: il progetto dell’onorevole Morelli, proposto qualche anno dopo e mai approvato, si esprime in questi termini:
“La donna italiana può esercitare tutti i diritti che la legge riconosce ai cittadini del regno”.
A distruggere l’idea di questo progetto ci pensa Mazzini che esprime chiaramente il suo pensiero al deputato attraverso uno scritto a lui direttamente rivolto. Secondo Mazzini la monarchia era il simbolo di ogni privilegio (maschile) e la Camera rifletteva, per composizione, il pregiudizio dell’inferiorità femminile.
Era impossibile, secondo Mazzini, sancire tale diritto in un contesto che non riflette realmente quell’ideale. A posteriori, possiamo pensare che Mazzini avesse, in parte, ragione: effettivamente solo con la fine della monarchia è concesso il voto alle donne in Italia.
Ma anche la sua visione, origine di interessanti riflessioni, manca di iniziativa.
Femminismo vs privilegio
Il tema del femminismo è affrontato sul piano delle idee e attraverso la via parlamentare ma manca ancora, nella percezione generale, una solida coscienza femminista. Anche per questo motivo l’idea femminista si scontra, fin da subito, con il privilegio, non solo maschile.
La Contessa Belgioioso ad esempio, nobildonna italiana e giornalista, affermava con sicurezza che:
“Le donne che ambiscono un nuovo ordine di cose debbono armarsi di pazienza e di abnegazione, contentarsi di preparare il suolo, seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messi”.
Pazienza e abnegazione: le donne dovevano, secondo la contessa, rinunciare a far valere i propri diritti ed interessi e attendere che qualcuno gentilmente glieli concedesse.
Traspare tutto il privilegio di cui si fa portatrice: la ricchezza. Non era, secondo lei, necessario occuparsi dell’emancipazione femminile se chi nasce con un privilegio può fare ciò che vuole; non ha senso affrettare i tempi se gli uomini, che continuano a detenere il potere, prima o poi lo concederanno spontaneamente.
È sempre vigile la coscienza femminista della Mozzoni, che replica alle affermazioni della contessa:
“Le donne non avranno altri diritti che quelli che si saranno conquistati, non godranno altre libertà di quella che si saranno difesa giorno per giorno”.
Pazienza e abnegazione da una parte, iniziativa e azione dall’altra.
Le prime iniziative di Anna Maria Mozzoni
In questo contesto di dibattito, parlamentare e sociale, Anna Maria Mozzoni comincia a scrivere e parlare in pubblico, sostiene la necessità di riconoscere alla donna parità di diritti in tutti i campi: giuridico, politico, lavorativo, familiare.
Nel saggio sulla riforma del Codice Civile “La donna e i suoi rapporti sociali” scritto nel 1864, la Mozzoni esprime così la sua idea sulla famiglia:
“Famiglia vera non può essere quella in cui vi è il servo e il padrone. Famiglia sarà quando l’uomo e la donna, ambedue forti della coscienza di sé, dei doveri dell’individuo, concorreranno all’educazione dei figli e al loro morale sviluppo”.
Uno dei suoi lavori più importanti è sicuramente quello che l’ha vista impegnata nella cura dell’edizione milanese del testo di John Stuart Mill “The Subjection of Women” (“La soggezione delle donne”); un testo centrale per il femminismo anglosassone nel quale l’autore considera ingiusta e contraria al progresso la subordinazione della donna all’uomo.
Il libro di John Stuart Mill è una pietra miliare nella storia del femminismo e il lavoro della Mozzoni è centrale per il movimento in Italia, e convive con molte delle tradizionali concezioni del tempo, come quelle espresse, ad esempio, dalla contessa Belgioioso.
Sono gli anni nel quale, infatti, con doppia sentenza, si annulla la decisione dell’Ordine degli Avvocati, a Torino, di accettare l’iscrizione di Lidia Poët, laureata in legge e procuratrice legale, per “diversità e diseguaglianze naturali”.
Diversità e diseguaglianze naturali invocate, naturalmente, per giustificare ingiustizia e discriminazioni; ma che non valgono, invece, quando si fanno lavorare le donne sedici ore al giorno nella emergente industria del paese.
La “Lega promotrice degli interessi femminili” e il Comizio dei Comizi del 1881 a Roma
Le donne iniziano a organizzarsi sul lavoro attraverso l’impegno nelle prime Leghe e non manca il contributo della Mozzoni che fonda a Milano, nel 1879, la “Lega promotrice degli interessi femminili”; la prima organizzazione in Italia volta a fornire alle donne una solida coscienza dei loro diritti e doveri nella società.
Nel 1881 Anna Maria Mozzoni, in occasione Comizio dei Comizi della Democrazia a Roma, tiene un appassionato e importante discorso per appoggiare un nuovo progetto per il suffragio femminile in Italia:
“Io sono convinta che la democrazia non penserà mai sul serio alla donna, se non quando avrà bisogno del suo voto. Se temeste che il suffragio affermato alla donna spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle riforme sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficaci: vi è il Quirinale, il Vaticano, Montecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle scuole e…la democrazia opportunista!”.
Le lucide analisi della Mozzoni riflettono l’essenza della società italiana: basti pensare che tra la prima richiesta per il voto alle donne e la sua concessione sono passati ottanta anni.
Le prime lotte sindacali
Alla fine dell’800 le lavoratrici donne erano circa un milione e mezzo e il settore tessile era quello privilegiato. Sono, infatti, proprio le operaie tessili a creare per prime, nel 1889, la Società delle sorelle del lavoro.
I loro principali obiettivi erano la difesa del salario e la riduzione delle ore lavorative perché, nonostante le decantate “diseguaglianze naturali” con la quale venivano giustificate le costanti discriminazioni nei loro confronti, le donne operavano nel mondo del lavoro ed erano indispensabili per il sistema paese.
Non a caso il movimento femminista e il movimento operaio nascono nello stesso periodo.
Le dure lotte delle donne in difesa del lavoro si estendono anche al mondo agricolo: importanti scioperi contro il basso salario e le dodici ore lavorative, come quello del 1883 delle mondine di Molinella, si susseguono in quegli anni, con epiloghi spesso fatali per le donne.
A Monselice, nel 1890, scioperano cinquecento lavoratrici: tre donne rimangono uccise a seguito dell’intervento della polizia e dieci sono gravemente ferite.
Anna Kuliscioff, tra le fondatrici del Partito Socialista italiano, non resta indifferente a quelle istanze e lancia un coraggioso appello in occasione delle elezioni politiche del 1897.
La creazione di due correnti di pensiero nel movimento femminista
La Kuliscioff ritiene che il lavoro sia il mezzo principale per l’emancipazione della donna e vede nel voto la possibilità per le lavoratrici di difendere i propri diritti:
“Facciamo che la scheda, che fu già strumento di oppressione, diventi arma di emancipazione”.
Anna Maria Mozzoni considera invece l’emancipazione femminile come un grande ideale sociale che unisce tutte le donne e che deve spingerle a lottare anche contro l’egoismo maschile, che le rende schiave della società e della famiglia.
Se la Kuliscioff si focalizza sull’aspetto economico della questione, la Mozzoni, invece, estende le sue considerazioni a tutti gli altri aspetti della condizione femminile, in particolare al rapporto con l’uomo.
Anna Maria Mozzoni, fino alla fine e nonostante tutto, mantiene il suo impegno per l’estensione del diritto di voto alle donne; muore a Roma nel 1920.
Grazie alle sue lucide osservazioni la Mozzoni è considerata pioniera del movimento di emancipazione delle donne in Italia: la sua visione attenta e trasparente della società è valida ancora oggi, per ricordarci che:
“Le donne non avranno altri diritti che quelli che si saranno conquistati, non godranno altre libertà di quella che si saranno difesa giorno per giorno”.
Elena Elisa Campanella