I dispositivi vengono sbloccati dai ragazzi in media 120 volte al giorno e vengono utilizzati, oltre che per essere in contatto con i coetanei, anche per vedere film o ascoltare musica fino a tarda notte.
Ma quali pericoli si annidano dietro i social?
Giovani e Social network: comunicazione e ipersocialità virtuale
Oggi le relazioni, ancora di più dopo i due anni di pandemia, sono prevalentemente virtuali; i confronti sono caratterizzati da rapidità ed immediatezza e, di conseguenza, le scelte effettuate durante questi scambi sono rapide e superficiali.
La capacità di ragionamento e di riflessione, che impone il prendersi del tempo, riflettere e valutare, è praticamente annullata.
L’evoluzione delle tecnologie della comunicazione porta con sé numerosi interrogativi:
il coinvolgimento in queste forme di comunicazione quanto e come interferisce con la vita e i rapporti sociali degli adolescenti?
L’adolescenza, che investe un periodo sempre più ampio della vita della persona, rappresenta un momento di crescita complesso che comporta tormenti e ribellioni, soprattutto in ambito familiare, e la ricerca di continue ricerche e conferme da parte del gruppo.
Si parla, a questo proposito, di cervello sociale, che interviene nella valutazione degli altri: i genitori e il gruppo.
Il cervello sociale è particolarmente sensibile agli stimoli sociali e, per la costruzione della propria immagine, considera fondamentali gli scambi e le conferme da parte del prossimo, in particolare, del “gruppo dei pari”.
Adolescenti nell’era del digitale
Gli adolescenti di oggi sono considerati figli dell’era digitale proprio perché sono nati e cresciuti con in mano strumenti elettronici:
ci si chiede quanto tutto questo abbia inciso nella loro formazione e crescita.
Una ricerca del Carnegie Mellon University, a Pittsburgh, confermata da diversi altri studi, ha dimostrato come un uso troppo frequente di internet possa comportare numerose conseguenze come:
ridurre la comunicazione all’interno della famiglia; slatentizzare ed esasperare gli stati depressivi; incidere in maniera significativa sull’addormentamento e sul sonno, perché si prolunga uno stato di tensione; indurre comportamenti aggressivi; ridurre la vita sociale dei soggetti coinvolti.
Soprattutto attraverso Facebook, ma non solo, viene creata una vera e propria identità digitale, reale o falsa, con la quale ci si presenta agli altri.
Questa ipersocialità virtuale che caratterizza i nostri tempi pone numerosi interrogativi sulla qualità degli scambi comunicativi tra i giovani e sulla loro capacità di stare da soli con sé stessi per potersi davvero conoscere meglio e comprendere.
Le conseguenze sui giovani: depressione e comportamenti devianti
Le nuove modalità di comunicazione e di interazione incidono pesantemente, dunque, sui comportamenti e sullo stato d’animo dei ragazzi:
da una parte con una maggior probabilità di sviluppare depressione, dall’altra con la moltiplicazione di comportamenti devianti e asociali.
Uno studio pubblicato dal Journal of Affective Disorders Reports dimostra come i giovani adulti che utilizzano maggiormente i social hanno una probabilità molto maggiore di sviluppare depressione entro sei mesi, a prescindere dal tipo di personalità del soggetto.
La comunicazione e i confronti attraverso i social, infatti, possono comportare errori di percezione non risolvibili attraverso questo tipo di comunicazione; errori ed equivoci che difficilmente possono essere chiariti adeguatamente dal momento che, parallelamente, si riducono le opportunità di interazioni di persona.
Bullismo in rete e spersonalizzazione della vittima
Per quel che riguarda, invece, i comportamenti devianti uno dei più frequenti è dato dal fenomeno crescente del bullismo; che può verificarsi, pur con diverse modalità, anche in rete.
La rete consente la creazione e l’utilizzo di una identità anonima e così, come chi agisce, anche la vittima viene completamente spersonalizzata:
i minori non sono in grado di valutare quali siano le conseguenze per la vittima, elemento fondamentale della comunicazione per poter poi arrivare ad un incontro delle parti.
Comunicazione e comportamento sono, infatti, sinonimi; in quanto i dati della pragmatica della comunicazione (lo studio delle relazioni tra i segni e il contesto sociale e comunicativo del loro uso) non sono unicamente le parole ma anche il linguaggio non verbale.
Occorre tenere nella debita considerazione, quindi, anche i segni della comunicazione contestuale; i confronti attraverso i social riducono questo tipo di interazioni e, di conseguenza, la possibilità di comprendersi davvero.
Se la rete da una parte, può semplificare la vita, abbattere i confini e creare possibilità di aggregazione, qualora vengano utilizzati in modo corretto e consapevole; dall’altra, se utilizzati in maniera non consapevole, possono essere dei veri e propri portatori di ansia, depressione e senso di inadeguatezza.
Anche l’Organizzazione no profit Social Warning Movimento Etico Digitale ha sottolineato il rischio di dipendenza che si annida in questi strumenti.
Il caso Molly Russell…
Molly Russell aveva quattordici anni quando è morta, nel 2017, caduta in un vortice di depressione alimentata dai social, in particolare Instagram e Pinterest.
La giovane, nei sei mesi prima della morte, aveva salvato e condiviso 2.100 post su depressione, autolesionismo e suicidio.
Il report del Coroner Andrew Walker afferma che la giovane è morta a causa di un atto di autolesionismo, dopo aver subito gli “effetti negativi dei contenuti online”.
Molly Russell aveva quattordici anni, un momento delicato di crescita nel quale si tenta di costruire la propria immagine e si è particolarmente sensibili agli stimoli sociali; si era iscritta ai social all’età di dodici anni (l’età minima è di tredici); già soffriva di depressione e la ricerca e la visione di determinati contenuti ha aumentato enormemente il suo disagio.
Per quale motivo la ragazza ha costantemente e ripetutamente insistito su certi contenuti che, con tutta evidenza, erano dannosi e pericolosi per lei e la sua attenzione non è stata distratta o catturata da contenuti che avrebbero potuto alleggerire il suo stato d’animo?
La spiegazione è da ricercare, purtroppo, nell’algoritmo e nel suo funzionamento.
… e la pericolosità dell’algoritmo: la denuncia di Frances Haugen
L’algoritmo è un meccanismo dei social network che incoraggia e propone argomenti simili a quelli che vengono cercati l’utente:
in questi delicati casi, però, non si tiene in alcuna considerazione la pericolosità della situazione e l’algoritmo agisce senza alcun filtro.
L’ex dipendente di Facebook, Frances Haugen, aveva già denunciato la piattaforma perché, dopo le elezioni americane del 2020, non avrebbe censurato (come stabilito nelle sue linee guida) i messaggi d’odio pubblicati nei social; con l’intento di mantenere e fomentare discorsi che alimentavano un clima molto pesante nel paese.
Di più: Frances Haugen affermava che queste sono state delle vere e proprie scelte accurate da parte della piattaforma attraverso lo sviluppo e la distribuzione di algoritmi che hanno amplificato l’hate speech, cioè l’odio e la contrapposizione fra gli utenti.
Quali sono i parametri utilizzati dalle piattaforme per stabilire la “sicurezza” di un contenuto?
Il responsabile delle azioni della community di Pinterest, Judson Hoffman, ammette che la piattaforma “non era sicura” e “rimpiange profondamente” che Molly Russell abbia avuto libero accesso alla visione di quei contenuti.
La responsabile della Salute e del Benessere di Meta, Elizabeth Lagone, sostiene e rivendica, al contrario, la “sicurezza” della maggior parte dei contenuti incriminati; quelli considerati “non sicuri”, afferma, sono eliminati dalla piattaforma.
Ma quali parametri utilizza Meta per stabilire se un contenuto è sicuro oppure no?
Su Instagram, ad esempio, sono vietate le foto di nudo ma sono ammessi contenuti violenti, ora sfuocati ma comunque visibili con l’assenso del soggetto.
L’algoritmo, che suggerisce e propone contenuti simili a quelli cercati dall’utente, si conforma ai parametri di sicurezza della piattaforma per recepire la pericolosità di una situazione?
In questo caso specifico pare proprio che la pericolosità non sia stata percepita e recepita; ma, che anzi, abbia alimentato e accresciuto il disagio di Molly Russell.
Il caso Molly Russell è quello a noi più noto ma, purtroppo, non è il solo.
Elena Elisa Campanella