Rivoluzionarie, coraggiose e progressiste: le donne del Kurdistan realizzano importanti riforme democratiche nella società.
Ed è proprio per le loro conquiste sociali che queste donne vogliono essere ricordate.
La rivoluzione sociale e culturale delle donne curde: il Kurdistan
Il Kurdistan è un vasto altopiano nella parte settentrionale e nord orientale della Mesopotamia e indica, principalmente, le regioni geografiche abitate prevalentemente dai curdi. Con il tempo il termine acquista una connotazione e una valenza geopolitica importante ma il Kurdistan non è, comunque, uno stato indipendente.
Il territorio è, infatti, diviso fra quattro stati: Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Questa conformazione rivela tutte le difficoltà e l’emarginazione attuate, nel corso degli anni, nei confronti del popolo curdo; attraverso politiche di vera e propria discriminazione applicate soprattutto da parte di Turchia e Siria.
Un popolo che, ancora oggi, è alla ricerca dell’indipendenza e della dignità.
La nascita del PKK
Il 27 novembre 1978 Abdullah Öcalan, politico curdo con cittadinanza turca, costituisce il PKK; partito dei lavoratori del Kurdistan, fortemente critico verso le istituzioni turche.
Öcalan nasce nel 1948 nella provincia di Sanliurfa, nell’Anatolia Sud Orientale; studia in un piccolo liceo di provincia e poi all’Università di Scienze Politiche di Ankara.
Costretto ad abbandonare gli studi dopo il colpo di stato del 1971 si arruola nel servizio civile in una città del Sud Est della Turchia; e, condizionato dalla situazione del popolo curdo, diventa membro attivo di una importante associazione promotrice di diritti per il popolo curdo (Associazione Democratica Culturale Dell’Est).
Il partito da lui fondato nel 1978 è, quindi, fortemente critico verso le istituzioni turche e verso la struttura familiare patriarcale vigente:
per questo intende riformulare il significato di “namus”, con la quale è intesa la conservazione dell’onore; ma che, in pratica, è utilizzato come strumento di controllo della sessualità e del corpo delle donne.
Secondo Öcalan il compito dei curdi è quello di proteggere l’onore della patria, e non l’onore così come veniva inteso.
Già a partire dall’anno successivo all’istituzione del partito iniziano, però, gli arresti e le torture delle persone vicine al partito stesso.
Nel 1980 l’esercito turco prende il potere con un colpo di stato; il controllo del governo è nelle mani del generale Kenan Evren, tutti gli organi democratici del paese, compreso il Parlamento, sono sciolti e i partiti politici, come il PKK, sono vietati.
Genocidio demografico e culturale
Da subito l’obiettivo principale dell’esercito turco è quello della cancellazione dell’etnia curda, un vero e proprio genocidio demografico e culturale:
vengono vietati la diffusione della cultura e l’utilizzo della lingua curda in qualsiasi forma.
Novanta militanti del partito vengono condannati a morte dal governo turco tra il 1980 e il 1983 e centinaia vengono arrestati e indagati per cospirazione.
Inizia una lunga stagione di proteste e scioperi della fame di massa e nel 1984, dopo la scia di condanne a morte e il ritorno ad un governo solo formalmente democratico, il PKK decide di passare alla lotta armata.
Nel 1998 Öcalan è costretto, a seguito di numerose intimidazioni, ad abbandonare il paese, immerso nelle tensioni, e si rifugia prima in Russia e poi a Roma; dopo 65 giorni trascorsi nel nostro paese viene convinto, con l’assicurazione della protezione politica dovuta ai rifugiati, a partire in Kenya dove, però, lo attendono i Servizi Segreti Turchi.
Il governo D’Alema non considera gli articoli 10 e 26 della nostra Costituzione: l’articolo 10 stabilisce, infatti, che:
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”;
e l’articolo 26 della Costituzione stabilisce che: “L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici”.
Il governo italiano concede asilo politico a Öcalan troppo tardi, quando è già in Turchia; Öcalan è, tutt’oggi, assistito dall’asilo politico italiano ma, da quel momento, è recluso nel carcere di massima sicurezza di Imrali e da lì continua ad esprimere il suo pensiero e le sue idee, attraverso scritti e pubblicazioni.
La crescente consapevolezza delle donne e la “Teoria della rosa”
In questo contesto di lotta sociale, una lotta per la sopravvivenza, le donne curde sono sempre in prima linea.
Dal 1995 le cosiddette “Madri del sabato” si riuniscono ogni settimana in piazza Galatasaray, ad Istanbul, per chiedere a gran voce giustizia per i loro parenti scomparsi durante i conflitti.
Una crescente consapevolezza femminile si fa strada nella vita delle donne curde insieme alla cosiddetta “Teoria della rosa”, elaborata da Öcalan.
È così che Öcalan definisce la resistenza delle donne curde: alcuni organismi, come le rose, sviluppano sistemi di auto difesa non offensiva, le spine, per proteggere la propria vita.
Le combattenti curde, in realtà, odiano le armi, e vogliono essere conosciute e ricordate per le loro conquiste sociali.
Alla base di questo pensiero c’è la lotta contro il patriarcato quale principale espressione del capitalismo che opprime le donne; torna in mente la rivoluzione del concetto di “namus” espressa dallo stesso Öcalan.
La Jinealogia
Il concetto di Jinealogia è introdotto e spiegato da Öcalan nel terzo dei cinque volumi della sua opera “Sociologia della libertà”, pubblicata nel 2008: la parola Jin, in curdo, significa donna.
Si tratta di una nuova scienza in grado di contribuire ad una profonda trasformazione della mentalità della società; ed evitare, così, che il potere maschile soffochi il potenziale delle donne.
Un’oppressione, quella esercitata sulle donne, che va dal piano sessuale a quello economico, spesso attuata attraverso trasformazioni ideologiche (riguardanti, ad esempio, la religione).
Questi studi ed approfondimenti di Öcalan contribuiscono a rafforzare ancora di più la coscienza delle donne curde che si riuniscono in varie associazioni e costituiscono, nel 1993, il Movimento di Liberazione delle donne in Kurdistan.
La Jinealogia è oggi considerata un pilastro fondamentale per l’attuazione del confederalismo democratico.
Il Movimento di Liberazione delle donne in Kurdistan
Il Movimento nasce come esercito delle donne all’interno del PKK, che pone la condizione di inferiorità della donna come problema pratico da risolvere, e si basa su tre principi fondamentali: democrazia, ecologia e liberazione della donna.
Una democrazia diretta, prima di tutto, nel quale tutti i cittadini sono invitati a partecipare alla vita politica attraverso un sistema di assemblee popolari confederate; l’ecologia, valore centrale per cui è necessario proteggere la terra e instaurare un rapporto simbiotico con la natura; infine, una società che si batte contro il pensiero unico, nella quale vige la libertà di pensiero e di volontà e che passa attraverso la liberazione della donna.
Nel 2011 le donne curde arricchiscono questi progetti di nuove idee: lo slogan “Vita, Libera, Insieme” è da loro espresso per sancire la volontà di cambiare le relazioni gerarchiche in famiglia e nei rapporti sociali.
E nel 2014 l’esercito delle donne curde combatte l’Isis a Kobane, in Siria, e realizza quella che viene definita la “Rivoluzione del Rojava”.
Le donne curde vincono la guerra contro l’Isis, per la loro libertà e per la nostra, quella degli europei e del mondo intero.
La rivoluzione del Rojava e il confederalismo democratico
L’esercito delle donne curde combatte l’Isis e attua, nel territorio del Rojava, nel Nord Est della Siria, una vera e propria rivoluzione basata sull’idea del confederalismo democratico.
Il confederalismo democratico è una forma politico-sociale sviluppata da Öcalan sulla base del municipalismo libertario e l’ecologia sociale teorizzate dal filosofo Murray Bookchin.
Le società agli inizi della storia, infatti, erano caratterizzate da parità dei sessi e da uno stretto rapporto con la natura: questo equilibrio viene spezzato dal patriarcato, considerato la radice della corruzione.
Così i rapporti da orizzontali diventano gerarchici e il rapporto con la natura non è più simbiotico ma conflittuale.
L’idea fondamentale alla base del Movimento è, dunque, quella di un Kurdistan libero entro una prospettiva di confederalismo democratico, attraverso un sistema di autogoverno locale basato sulla democrazia diretta.
Questo sistema è attuabile attraverso il superamento dell’idea di Stato caratterizzata da frontiere e da un potere centrale per fare spazio a comunità autogestite. La violenza viene considerata praticabile solo come autodifesa e devono essere stabilite nuove modalità di organizzazione.
In Rojava si attua un’autentica rivoluzione democratica e viene sottoscritta una “Carta del Contratto Sociale” che ha valore di Costituzione provvisoria e rende praticabile un’autogestione democratica nelle Regioni Autonome di Afrîn, Cîzire e Kobane.
La prospettiva femminista e sociale
La rivoluzione attuata dalle donne curde segue una prospettiva non solo femminista ma sociale e generazionale.
Una società che si fonda sulla collettività e non sull’individualismo, nella quale le parole d’ordine sono giustizia, sapienza, accoglienza e solidarietà nei confronti di tutti.
Inoltre, per garantire parità di diritti e di doveri, ogni ruolo di riferimento del governo della comunità è condiviso da un uomo e da una donna: in questo modo entrambi presiedono alle dinamiche della vita pubblica.
Secondo questa visione di società la vera democrazia deve basarsi sul dialogo:
non ha senso una maggioranza che si impone sulle minoranze ma è necessaria una mediazione per arrivare a un compromesso accettabile per tutti.
La società è del popolo e, per questo motivo, tutti i servizi sono pubblici: una repubblica parlamentare fondata sul pluralismo etnico e culturale.
Una prospettiva rivoluzionaria, davvero democratica, che nasce dalle ceneri di una terribile guerra; e che attribuisce alle donne un ruolo primario nella trasformazione della società e della politica.
Elena Elisa Campanella