La nostra Autonomia speciale deve essere uno strumento che faciliti l’erogazione dell’assistenza sanitaria contro ogni discriminazione e disuguaglianza.
E’ quella che all’emergenza socio sanitaria non risponde con azioni di smantellamento dei centri di eccellenza. Come il reparto diabetologico del Brotzu e di interi ospedali, né costruendo paradossalmente nuove e inutili infrastrutture, ma investendo in salute per ridurre i costi sociali e sanitari. Difendere l’Autonomia speciale, da quella differenziata del ministro Calderoli, significa porre fine ai tagli e agevolare l’accesso alle cure dei cittadini sardi in casa propria.
Significa prevenire e curare le malattie e morire di meno. Ma così non è. A causa dei tagli, la Sardegna è in testa rispetto alle altre regioni d’Italia per la mortalità e per la rinuncia alle cure.
Sono i tagli ai nostri servizi che costringono i nostri malati a fuggire per essere curati altrove, arricchendo a dismisura le regioni già ricche. Questa è l’Autonomia differenziata di Calderoli che in Sardegna già conosciamo. Ma è la fuga dei nostri medici, pochi e sottopagati. E’ la perdita di una classe medica sarda. E’ l’impoverimento scientifico e culturale che si somma a quello dell’economia.
Tanto arricchiamo con il nostro bilancio la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, più la Sardegna impoverisce. E’ questa l’autonomia differenziata, quella delle disuguaglianze che si contrappone alla nostra Autonomia speciale.
La chiusura del reparto di diabetologia del Brotzu è solo un danno. Con lo smembramento di uno dei colossi della sanità sarda, la Sardegna perderebbe un punto di riferimento altamente specializzato e indispensabile ancor più per l’alta incidenza del diabete.
La Sardegna è in testa, dopo la Finlandia, per l’incidenza di DM1 a livello mondiale. Ogni anno le nuove diagnosi in età infanto-giovanile superano i 50 casi su 100.000 abitanti, contro 6-7 casi su 100.000 nel resto d’Italia.
Sia sul piano epidemiologico che organizzativo, tra tagli e limitazioni prescrittive per l’accesso ai devices e alle terapie innovative, la Sardegna necessita di riforme che agevolino i diabetici e non di chiusure di reparti ospedalieri, dopo anni di tagli che hanno falcidiato i servizi territoriali.
La Rete Sarda, ritiene una scelta irresponsabile la chiusura del reparto diabetologico del Brotzu e la geo-dislocazione dei servizi in un altro comune, già per numero di abitanti e per difficoltà di accesso dei pazienti provenienti da tutti i territori.
Le funzioni del reparto ospedaliero non possono essere assolte dai servizi territoriali. Con la chiusura del reparto, la diabetologia territoriale dovrebbe assicurare un’intensiva e qualificata assistenza diabetologica alle persone ricoverate in tutti i reparti chirurgici o comunque non internisti.
Dovrebbe garantire ai malati non più in grado di raggiungere il servizio ambulatoriale, il diritto di un’assistenza domiciliare svolta dagli stessi curanti ambulatoriali. Dovrebbe adeguare l’intervento ambulatoriale alla condizione del diabete come malattia bio-psico-sociale con i risvolti educativi che questa “vision” comporta sia nella qualità dell’intervento che nell’adeguamento delle strutture all’intervento educativo.
Si dovrebbe assicurare il coordinamento delle diverse strutture della città metropolitana e non solo. In conclusione dovrebbero garantire la disponibilità adeguata a livello ambulatoriale delle consulenze specialistiche per la valutazione degli organi a rischio delle complicanze pluriorgano.
Uno scenario complesso che priva di credibilità la scelta squisitamente politica di smantellare il reparto di diabetologia del Brotzu.
La Rete Sarda, invita il presidente Solinas e l’assessore Doria ad un confronto con i clinici prima di decidere in materia sanitaria.
Claudia Zuncheddu – Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica
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