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Un racconto che si svela con cura e coerenza fin dall’ascolto del primo brano dal sapore anglosassone, SINESTESÌA. Tanto che viene da pensare che potrebbe essere cantato anche in inglese senza che se ne perda in potenza e liricità. Primo di tre brani senza ritornello è un racconto sulla contaminazione dei sensi.
Un basso potente fin dalle prime note accompagna un crescendo vocale che sfocia in un finale dai toni epici con una coda di quasi un minuto di chitarre elettriche ed acustiche.
Il secondo brano, DISTOPÌA, inizia con una semplice linea di chitarra dobro sulla quale si appoggia la voce. E’ in un mix di contaminazioni, dove si sfiorano rock e folk, per poi essere travolti da un finale che non ti aspetti con una banda di paese che strizza l’occhio ai Balcani di Goran Bregović.
Le dolci e malinconiche atmosfere dei boulevard parigini si svelano sulle note di una fisarmonica nell’intro di EFFETTO DOPPLER, terza traccia dell’album.
Un artista immerso nel momento più fragile e potente, quello della nascita di una canzone, viene richiamato dalla sua donna alla realtà del quotidiano per poi lasciarlo subito dopo a perdersi di nuovo nel fiume della creatività. Il brano si chiude con un voluto omaggio a Lucio Battisti con i brass di Non è Francesca.
Atmosfere parigine che vengono accentuate dalla voce sensuale di una giovane donna che ci introduce nella convivenza con gli ironici, continui e repentini cambiamenti del protagonista di DISSONANZE E DÉJÀ VU. Quarta traccia. Una beguine/bossa nova, sostenuta dal ritmo di cajon e chitarre acustiche con contrappunti di archi incalzanti a sottolineare che lo scorrere del tempo è solo un’invenzione.
Una campana tibetana preannuncia l’onirica L’ESSENZA E L’ASSENZA (KONICHIWA) quinto brano dell’album. Chitarre dilatate, passaggi da musica ambient e la capacità dei protagonisti di questo racconto, viaggiatori astrali con il dono dell’auto/guarigione, di sapersi schermare dalle negatività di persone/buchi neri. Interessante la coda nella versione extended play nel vinile.
IL MARE SINCERO, sesta traccia, è il primo dei due brani pianoforte, archi, clarinetto e voce, contenuti nell’album. È l’intima presa di coscienza di un uomo che vive una sorta di trasmutazione con l’animale al quale ha appena sparato. Un piccolo viaggio tra sensi di colpa e immedesimazione.
LA MIA VERTICALITÀ, title track e settima traccia, è uno dei due brani più pop e autobiografici dell’album. Il protagonista vive la sua vita con l’obiettivo di realizzarsi con la naturale forza propulsiva della sua verticalità, rischiando tutto. Cadendo e rialzandosi ogni volta, per poi tornare sempre ad affrontare ogni ostacolo sul suo cammino con rinnovate energie. Nemmeno la morte lo fermerà, tornando ogni volta dall’aldilà ancora più forte e ricco di nuove conoscenze e consapevole che l’anima è immortale.
Ottava traccia, L’ENTROPIA NELLE PAROLE. Cassa in quattro e chitarra ritmica che non si ferma mai. il mare, la sabbia, onde e creme solari come metafore della vita stessa. Un intreccio di chitarre di Battiatiana memoria, accentuata nel finale da un coro che canta in latino. È forse il brano più ironico dell’intera produzione.
Con IMMAGINARE UNIVERSI, traccia numero nove, ci avviciniamo sempre più alla dimensione ultraterrena di linguaggio e scrittura dell’album. Un volo fuori dal corpo verso orizzonti molto più vasti dei cieli terreni. Un intro preciso e riconoscibile sin dal primo ascolto grazie ad un pianoforte ed un violino solista che con poche note danno l’impronta al secondo pezzo acustico dell’album.
Essere lasciati dalla donna della tua vita UN GIORNO DI FEBBRAIO. Tra coriandoli e felicità forzata, nonostante travolti dal dolore, capire e ammettere di essere cresciuti anche grazie a lei e quindi accettare l’abbandono ringraziandola per tutto l’amore ricevuto e la vita vissuta insieme. Con la traccia numero dieci respiriamo dolore e accettazione con atmosfere quasi underground dovute ad una parte elettronica asse portante di tutto il brano. Chitarre distorte e mitigate da un violoncello sempre presente lungo tutta la traccia introducono un solo di clarinetto che sottolinea la disperazione della voce nell’ultimo inciso. Un duetto di note armoniche tra clarinetto e chitarra per un finale suggestivo di uno dei brani più emotivi dell’intera opera.
L’undicesima traccia ci riporta alle nostre radici. In Africa un padre e una madre cantano in lingua wolof la ninna nanna al proprio figlio appena nato, accompagnati dal dolce ritmare di guerrieri che suonano le acque di un fiume. L’innocenza dei bambini africani in contrapposizione alle false/verità dei vincitori raccontate nei loro libri in Occidente. E la certezza che la morte è solo una porta spalancata su una nuova nascita.
LA FINE È L’INIZIO. Decine gli intrecci vocali e una curiosità, gli strumenti suonati in questo brano sono per lo più occidentali o asiatici, eppure il risultato che ne consegue ci riporta in Africa, la madre terra.
IL LUNGO SONNO dodicesimo ed ultimo brano, è l’espressione massima di un viaggio dove tempo e spazio non esistono e lo svolgersi degli eventi passato, presente e futuro, accadono tutti nel medesimo istante. Quando capiremo questo e ci sveglieremo da questo “lungo sonno” avremo raggiunto il Nirvana, uno stato di grazia dove tutto è in equilibrio. La voce si appoggia, su altre singole voci tutte cantate da Salamone, partendo da un semplice “pom tin” come vibrazione iniziale, voci che si sommano in un coinvolgente crescendo accompagnato da una partitura d’archi emozionale che sfocerà nell’esplosione del canto all’ottava sopra toccando tonalità altissime.
L’album “La mia verticalità” è stato presentato il 22 Aprile presso il Teatro Florida di Firenze, evento speciale all’interno di Materia Prima Festival. Del live fiorentino, è importante sottolineare, la coinvolgente scenografia e chi ha accompagnato Gianni Salamone in questa avventura, quali Nico Gori, clarinetto e sassofono, Simone Papi alle tastiere e programmazioni, Giacomo Guatteri alle chitarre, il Maestro Michelangelo Salamone al pianoforte, Sandro “martello” Rovai ala batteri, Pietro Zini al basso, Diletta Landi e Gianmarco Contini come backing vocals, Giada Moretti al sassofono, il Verticaliti meum quartet ensemble – archi: Emma Lanza violino; Francesca Bing violino; Rita Urbani viola; Petru Horvat cello; il Three women and a Man chorus quartet – coro: Anna Bindi, Fiamma Ciampi, Kaaj Tshikalandand, Piero Bindi e Andrea Bargilli alla tromba. Dei collaboratori di spessore, dunque, che hanno esaltato e valorizzato l’ottima produzione discografica dell’autore toscano.
https://www.giannisalamone.com/
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