In occasione della messa in scena di Lazarus – opera rock scritta da David Bowie – il Teatro Arena del Sole di Bologna ha ospitato in un talk a sorpresa l’interprete principale Manuel Agnelli, il produttore Valter Malosti (anche Direttore di Emilia Romagna Teatro) e il Direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli, che proprio in questi giorni ha dedicato all’artista una rassegna dei suoi film più iconici. Intervenuto anche il Sindaco di Bologna Matteo Lepore, ha commentato: “In una città come la nostra che ospita grandi istituzioni della cultura quali l’Arena, il Teatro Comunale e la Cineteca, e nella quale confluiscono artisti, questo spettacolo può essere un esperimento apripista“ .
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L’approccio all’opera nell’adattamento italiano
“Il progetto è nato molti anni fa insieme al mio sound designer, col quale abbiamo assunto la direzione musicale di questo straordinario gruppo di musicisti internazionali. Abbiamo deciso di orientarci verso il suono dell’ultimo Bowie ed essere liberi – spiega Valter Malosti, che prosegue – è un lavoro complicato con tanti piani di scrittura, semplice ma anche visionaria. É molto complicato stabilire i tempi per chi è in scena in quel momento”.“Lazarus è una porta aperta. Sono piani che avvengono nella testa del protagonista e in qualche modo esplodono, non si capisce mai cosa sia reale ed è interessante – come in tante creazioni di Bowie – che ognuno ci si riconosca a modo suo”.
“Bowie ha sempre voluto scrivere un musical per Broadway fin dai 16 anni e lo ha fatto alla fine della sua vita. Aveva in mente un lavoro su personalità famosissime ma sconosciute. Il primo coautore dello spettacolo, Michael Cunningham, lo riporta come una drammaturgia strampalatissima comprendente il ritrovamento di canzoni di Bob Dylan, incentrata in particolare su una poetessa e attivista che si chiama Emma Lazarus e ha uno dei suoi poemi, legato all’accoglienza dei poveri e afflitti, inciso alla base della Statua della Libertà – cosa che mi ha fatto pensare a quanti giungono spesso senza vita sulle nostre coste. Migranti, dunque. Bowie si considerava tale su questa terra, come forse tutti noi. Questa storia del migrante interstellare, l’alieno Newton protagonista dello spettacolo, è anche qualcos’altro” – conclude il produttore.
The man who fell to Cinema
“Lazarus è straordinario, inusuale e coraggioso. Sembra quasi di non essere in Italia (frase che in genere mi fa molto arrabbiare) – esordisce Farinelli, che prosegue – “Bowie ha trasformato la musica, ma anche nel cinema la sua presenza è molto forte. Ha interpretato soli 25 film ma la cosa più sorprendente sono i 16 documentari, in proporzione forse solo James Dean ha avuto tanti approfondimenti dedicati. La rassegna è partita con l’ultimo documentario, molto bello e travolgente, presentato l’anno scorso a Cannes.
La rassegna include Christiane F, Furyo – considerato da Bowie un film centrale. Si sono adorati lui e Ōshima – diceva di lui che fa cinema come lui faceva musica, lavorando sull’improvvisazione. Amava il fatto che Ōshima battesse massimo tre ciak, quindi è un film attraversato da una straordinaria energia, in cui lui gioca anche con la storia del cinema inglese. Immancabili L’uomo che cadde sulla terra, che in fondo è la prefazione di Lazarus, Miriam si sveglia a Mezzanotte e Tutto in una notte, con un cameo di Bowie che imita un sosia di Landis e che dà la misura straordinaria di un interprete che non è mai un interprete”.
“In tutti i film resta David Bowie, con l’enorme carico di complessità, ricchezza, sorpresa, carica rivoluzionaria che si porta sempre dietro. Resta David Bowie qualsiasi personaggio interpreti, incluso Andy Warhol” – conclude Farinelli.
Cover vs Opera Rock
Manuel Agnelli: “Lazarus è un’opera rock. Ogni tanto si crea questo equivoco che io stia interpretando Bowie e non è così, stiamo interpretando un testo scritto per essere messo in scena, come si farebbe con Pirandello o Beethoven. La prima cosa che abbiamo discusso con Valter era il poter mettere mano agli arrangiamenti. Interpretare in maniera personale un repertorio così gigantesco, meraviglioso e per me importante era un’occasione unica, prima ancora di conoscere i dettagli dello spettacolo. La molla delle canzoni mi ha spinto a partecipare ed è la parte più stimolante come musicista, perché nel riuscire a non fare delle cover penso stiamo aggiungendo senso a canzoni che hanno ancora un’energia molto vitale“.
Sull’ipotesi di un disco, risponde: “É una cosa delicata sulla quale stiamo discutendo. Sarebbe bello avere una testimonianza di questa cosa, ma potrebbe essere un problema sotto tanti punti di vista. Cosa sarebbe? Diventerebbero delle cover e anche se musicalmente sono davvero entusiasta di queste versioni, so anche con chi ho a che fare e ho un’età, come dice Sorrentino, nella quale non voglio perdere tempo a fare cose che poi mi possono procurare negatività. Far uscire un video potrebbe essere più sensato, perché sarebbe tutto contestualizzato all’interno dell’opera“.
Sul timbro vocale, che si avvicina molto a quello di Bowie, esordisce scherzosamente con un quasi demoniaco “Sì è vero!” e prosegue: “Non devo imitarlo perché le canzoni siano coerenti vocalmente ed una grande fortuna, perché imitarlo sarebbe stupido e comunque impossibile. Nessuno canta come Bowie, però non sono Axl Rose che canta Bowie per fortuna di Dio. (ride). Avendo queste canzoni, lui, le sue linee melodiche che so a memoria, è stato difficile non darlo per scontato perché ce l’avevo così dentro che avevo paura di sentire delle cose che poi invece non tiravo fuori vocalmente, quindi sono andato ad ascoltarmi i pezzi con orecchio di oggi, è stato utile anche Valter che è un suo fan e ha un’opinione molto precisa”.
Recitare la ferita
Valter Malosti: “Mi sono interessato ai diritti ancora prima che Lazarus debuttasse a New York perché ho capito che era adatto alle mie corde. La scelta di avere Manuel è stata dettata un po’ dalla sua tessitura vocale, ma c’è un discorso più intimo: benché non ci conoscessimo sentivo in lui una ferita che non nascondeva. Anche Manuel è un’icona, una rock star, ma la cosa curiosa è che è trasparente. Si fa medium attraverso se stesso, mostra alcune cose ma senza oscenità, è che non cela le ferite e questo aspetto mi ha sempre colpito quando l’ho visto esibirsi”.
Manuel Agnelli: “Non essendo un attore, è bello che riesca a vivermela con molto istinto, è un’esperienza di vita. Temi come l’amore, l’abbandono, la solitudine, l’invecchiamento, il non ritrovarsi più nel posto in cui si sta e l’avere un posto ideale anche interiore che si vuole ritrovare, sono cose che sento come mio vissuto. Più mi stacco dalla parte professionale, più imparo il testo e meno ci penso e più sono meravigliato da quanto mi riconosco in quella materia”.
“Dal punto di vista emotivo è pesante, soprattutto in questo momento della mia vita finire lo spettacolo con Heroes – che per me è un pezzo straziante e fatto in quella maniera mi spacca in due – il dover uscire immediatamente a prendere l’applauso del pubblico col sorriso sulle labbra è straniante” – conclude Agnelli.
La voce (che) libera
Valter Malosti: “Già all’inizio degli anni ’70 Bowie si vestiva sia da donna che da uomo, come invito ad essere ciò che volevi. Vengo da una famiglia povera e l’idea di avere una voce che ti liberava era importantissima. L’ho conquistata attraverso una sorta di triade: David Bowie, Demetrio Stratos e Carmelo Bene, tre maestri della voce. Lazarus sfugge alle categorie e nel pubblico percepisco un senso di gratitudine che va al di là del gradire o meno lo spettacolo, passa qualcosa di misterioso e potentissimo che ti connette e ti libera”.
Manuel Agnelli: “Il Bowie che mi appartiene di più è quello della trilogia berlinese. Nella mia esperienza di studio londinese ho iniziato ad ascoltare musica fidanzandomi con le persone giuste. Heroes colonna sonora dei nostri giorni. Anche a Berlino, io e la mia fidanzatina tedesca imitavamo I Ragazzi dello Zoo: correvamo per correre, tra le vie del centro, con un radiolone ghetto blaster sulle spalle e tutti ci guardavano come dei pazzi. Ora sono ricordi belli perché mi riguardo con tenerezza, cosa che non faccio mai. È stato un periodo molto formativo e giravano proprio questi tre dischi”.
Complessità e trasformismo: tutti i codici del poeta dolente
Gian Luca Farinelli: “Ognuno si prende qualcosa di questo spettacolo, perché Lazarus si misura con l’estrema complessità di Bowie, che è quello che lo rende eterno. Ci sono il palcoscenico, le proiezioni, il canto, la presenza, la danza, la musica che ha una fisicità che riempie completamente questo spazio. Bowie è la voce, ma anche la sua propria immagine; nessun’altra star della musica ha un’immagine così unica, cangiante, impossibile da intrappolare o semplificare. D’altronde Bowie adorava Lon Chaney proprio per la sua capacità di trasformarsi”.
Matteo Lepore: “Bowie è stato anticonformista generando dei codici. Lasciare un’estetica è diverso dalla creazione di un linguaggio e questa è una cosa potentissima”.
“Per tutta la vita Bowie ha costruito una serie di maschere, però una volta morto tutte queste apparenze sono svanite. Tolta l’apparenza che forse velava la grandezza compositiva di Bowie, rimangono questi testi musicali e secondo me anche poetici, da poeta dolente. ogni canzone di Bowie è imprendibile, c’è sempre il verso che ti spiazza, perché è un mondo destabilizzante, non rassicurante, ma nello stesso tempo è accogliente, molto particolare” – osserva Malosti.
Mistero e impianto culturale: il talento contemporaneo
Gian Luca Farinelli: “Io mi occupo di cinema e penso all’età d’oro italiana con Fellini, Monicelli, Antonioni, Pasolini, Visconti, ma oggi i film di questi autori vengono visti da pochissime persone. Chaplin è stata una star conosciuta in tutto il mondo anche grazie al fatto che l’arte era muta e ovunque si poteva ridere di quelle immagini, in qualche modo Chaplin ha cambiato gli spettatori del ‘900. Oggi questo è impossibile perché ci sono infinite tipologie di spettatori e non c’è più uno sguardo comune, ci sono mille sollecitazioni, l’industria culturale è un’altra cosa e poi ancora, Pasolini era certo un genio assoluto dotato di talenti infiniti però oggi un intellettuale come lui potrebbe avere qualcosa come gli Scritti Corsari? Oggi nessun giornale ha l’impatto che poteva avere all’epoca quella prima pagina del Corriere della Sera. Penso che siamo circondati da straordinari talenti, ma il mondo è cambiato”.
Manuel Agnelli: “Le case discografiche sono imprese che devono fatturare, gli continuiamo a buttare addosso responsabilità che non hanno. É l’impianto culturale ad essersi disgregato negli ultimi quarant’anni, da lì viene tutto. É la richiesta, l’urgenza di assorbire qualcosa da parte del pubblico che può far cambiare le cose da questo punto di vista, non l’industria discografica.
Personalità come Bowie generavano un sacco di curiosità attraverso il mistero. Non sapevamo niente di Bowie se non ciò che lui voleva farci sapere a piccole dosi. Tolte le foto promozionali, i video e i live la fantasia galoppava. Non c’era internet, quindi noi ci immaginavamo un mondo che chissà se mai è esistito.
La Factory (di Andy Warhol, ndr) ce la possiamo immaginare, abbiamo delle foto, ma poca roba rispetto a quello che sarà successo. Questa cosa, oltre alla creatività, è stimolante ed è sparita, per cui non penso che possano nascere dei personaggi che hanno quel tipo di carattere. Ci saranno sicuramente degli altri personaggi. La cosa della quale sono sicurissimo dopo aver recitato su questo palco è che io non sarò il nuovo Carmelo Bene”.
A Cura di Tiziana Elena Fresi
Ph: TEF