Le leggende nipponiche sono popolate da mostri e spiriti. La parola Yōkai comprende tutte queste creature, ma anche la sensazione di paura o di stupore di fronte a un evento straordinario, spiegabile solo presupponendo una presenza non umana. In mostra a Palazzo Pallavicini Bologna fino al 23 luglio 2023 la mostra Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi, ideata da Vertigo Syndrome con il patrocinio del Comune di Bologna, della Regione Emilia Romagna e del Consolato Generale del Giappone a Milano.
L’esposizione comprende oltre 200 opere risalenti al XVIII e XIX secolo tra stampe, rarissime prime edizioni illustrate dal maestro Hokusai, maschere e un’enorme armatura samurai originale. Gli incredibili dettagli presenti sulle xilografie policrome eseguite su carta di gelso, gli impermeabili in paglia di riso, i minuziosi netsuke – statuette in avorio capaci di trucchi sorprendenti, le vesti da samurai realizzate in canapa e decorate con fiori e motivi geometrici, i particolari tramati sulle impugnature di armi d’ottone antichissime, sono contestualizzati in una narrazione che coinvolge il visitatore in modo multisensoriale, con una suggestiva sala immersiva dedicata al Rito delle 100 Candele.
Yōkai – L’universo riscoperto
Nel confrontarsi col mondo occidentale – filo laico, innovativo, progredito scientificamente, il Giappone considerò la propria tradizione come un elemento che potesse farlo sfigurare. Intorno agli inizi del ‘900, l’attività di scrittori e studiosi del folklore – primo tra tutti Kunio Yanagita – riconobbero l’importanza della tradizione mostruosa nella formazione della realtà culturale nazionale, stimolando l’elaborazione di un piano di ricerca statale volto allo studio dei mostri autoctoni (Yokaigaku).
“La mostra è il frutto di un lavoro che ha messo a confronto storici dell’arte, studiosi del folklore giapponese e professori di mitologia greca, teologia, leggende e storia della scienza occidentale e permetterà al visitatore di conoscere in modo approfondito le creature affascinanti, bizzarre e assolutamente non comuni che popolano le leggende giapponesi – sottolinea Paolo Linetti, curatore della mostra e massimo esperto di arte giapponese, che prosegue – molti di questi spiriti provengono direttamente dalle pagine della mitologia e della cultura popolare, trasmessa attraverso le generazioni. Creature spaventose con poteri soprannaturali, alcune malvagie, altre benevole, alcune che preferiscono vivere in aree selvagge ed evitare gli esseri umani, altre che invece scelgono di vivere tra di essi. Oltre che sugli Yōkai, la tradizione orale si sofferma spesso su personaggi valorosi che diventano simboli d’onore“.
Tra i mostri giapponesi più caratteristici ci sono i Bakemono o mostri che si trasformano; ad esempio i gatti che diventano estremamente vecchi o sovradimensionati, vanno oltre il livello naturale, perciò cominciano ad acquisire dei poteri e se questi iniziano ad aggredire le persone o vendicarsi diventano Henge, capaci di assumere fattezze e atteggiamenti umani. Mietendo sempre più vittime il loro potere è accresciuto trasformandoli in Nekomata, cioè gatti negromanti capaci di far muovere i cadaveri come fantocci, agitando le loro due code. Questa serie di trasformazioni ricorda le evoluzioni dei Pokémon e in effetti i mostri che popolano la letteratura e il cinema, i manga, gli anime e i videogiochi – basti pensare al gigantesco Godzilla, ai Pokémon mutaforma, alle creature del maestro Hayao Miyazaki o ai giganti antropofagi di Attack on Titans anime – sono gli stessi del folklore, riproposti ciclicamente nell’arco dei secoli.
Mostri occidentali vs mostri orientali
Quando parliamo dei mostri giapponesi dobbiamo scollegarci dalle nostre idee tipicamente occidentali basate sul concetto di un mondo soprannaturale ben diviso da quello degli uomini.
In contesti occidentali influenzati dall’Oriente, come il mondo ortodosso o protestante abbiamo le creature preternaturali che abitano un mondo prodigioso e meraviglioso, una dimensione molto sfumata che non fa parte né del diabolico né del divino, in cui i mostri interagiscono con gli umani e sono parte del mondo in maniera mediana.
I mostri giapponesi sono parte di qualcosa di ancora più particolare; si possono avvicinare ai mostri del preternaturale ma sono parte di un concetto cripto-zoologico, dunque dobbiamo pensare ad essi come al Mostro di Lochness o altri animali che seppur ben nascosti esistono e ci si può venire a contatto in modo molto più naturale.
Nel 20° secolo il Giappone ha prodotto mostri frutto di contaminazione culturale; dopo tre secoli di isolamento, nel 1958 torna in contatto con un mondo occidentale in piena industrializzazione. Questo rapporto a due velocità genera serie di mostri robotici ed eroi il cui potere è basato su robot – come Mazinga.
L’influsso del cristianesimo, con il suo bagaglio culturale di angeli e demoni ha influito; nel 1970 Gonagai (creatore di Goldrake e Mazinga) ha prodotto la serie Devilmen, un uomo-diavolo che ricorda gli Henge o uomini bestia cui si aggiunge il contesto soprannaturale di stampo diabolico.
Notturno giapponese
Gli Yōkai errano liberi, prevalentemente in aree naturali, e possono manifestarsi senza una valida motivazione o implicazione nella vita delle persone alle quali appaiono – scopo del racconto Le 100 candele è esattamente quello di ragguagliare il viandante su questa ipotesi imprevedibile. Ripararsi in città o in casa è un buon metodo, soprattutto nelle serate estive, in cui interrompere la parata dei cento mostri, attraversandola, potrebbe indurre il kamikakushi, o rapimento dei malcapitati.
Vampiri energetici: una rana sotto il pavimento
La città è diametralmente opposta alla foresta. Il regno degli uomini è un ambiente confortante scandito dalla padronanza del quotidiano. Tra recinzioni e templi, le città sono tendenzialmente protette dagli Yokai mediante kekkai (barriere mistiche), e specifici precetti costruttivi con valore esoterico e propiziatorio. Gli Yōkai che filtrano nel nucleo cittadino hanno un rapporto addomesticato col vivere umano, al contrario dei Gama. Queste vecchie rane e rospi si nascondono nel basamento delle case e risucchiano la linfa vitale degli inquilini, sempre più stanchi e ammalati. Questo legame di parassitismo energetico è talmente intenso che può essere spezzato solo attraverso l’uccisione del gama secondo specifiche modalità, diversamente esso potrebbe possedere il corpo della vittima portandola alla pazzia.
Houju – La perla dei desideri
Si ritiene un dono di Budda, capace di purificare dal male, portare la luce nell’oscurità, esaudire i desideri dei puri di cuore, portare ricchezze ai poveri e umiltà e soddisfazione ai ricchi. La perla sacra, equivalente della pietra filosofale per l’alchimia occidentale, sono simboli di prosperità posti sulla sommità di alcune pagode buddiste, tappa di pellegrini che volessero ottenere protezione spirituale.
Yagyo Yujo – La roccia piangente
Il fantasma di una prostituta morta di parto erra cinta da un drappo rosso a simbolo della sua perdita e mette alla prova gli uomini consegnandogli il proprio neonato. Fatto ciò lo ripretende indietro e in quel momento le braccia cingenti dei malcapitati si ritrovano intrappolate dalla roccia.
Kintaro – Bambino stregone
Figlio illegittimo abbandonato dalla madre nobile, o secondo altre versioni figlio naturale della strega delle montagne che lo ha cresciuto, il giovane scampa al solito pattern attuato da questa – ovvero divorare bambini – e sviluppate doti sovrannaturali diventa prima guerriero e poi uno dei quattro Shitenno – ovvero quattro re celesti della tradizione.
Il riflesso: dalla donzella Oni al gigantesco gatto magico
La luce della luna svela le fattezze mostruose della splendida principessa Chihaya. Montano in lei sentimenti di vendetta per l’uccisione del padre, mentre l’ignaro condottiero Hikoshichi Omori, reo della disgrazia, la tiene cavalcioni sul suo dorso per evitarle che il kimono si bagni. Proprio guadando il fiume lui vede riflesso sull’acqua il volto interiore della donna, con zanne e corna, e mette mano alla spada.
Il riflesso rivelatore è cruciale nell’opera di Utagawa Okabe: la pietra del gatto che parla di un’anziana signora infestante un giardino con una statua a forma di gatto, solita offrire il te ale giovani per nutrirsene una volta assunte le sembianze di un Bakeneko: un enorme gatto mostruoso. L’opera innesta dei giochi di immagini riflesse come ombre sulle pareti o sugli specchi per smascherare la natura di questo Yōkai.
Il Bakeneko è protagonista di un’altra vicenda; leggenda vuole che una madre afflitta dalla morte violenta del figlio si sia tolta la vita non prima di essersi confidata col suo gatto. Leccato il sangue della padrona, questo si sarebbe trasformato in cerca di vendetta, con la capacità d’impossessarsi dei corpi delle vittime. Ancora oggi gli strani avvenimenti che si verificano nel castello di Saga, teatro delle vicende, vengono attribuiti a questo felino sovrannaturale.
Hokusai oltre l’Onda
Nel 1836 l’artista inaugura una serie di quattro volumi dedicati a storie di eroi leggendari e guerrieri. In esso sono presentate storie leggendarie e mostri terrificanti con uno straordinario dinamismo, perizia dei dettagli e armonie. Hokusai seguiva scrupolosamente il lavoro degli artigiani incisori, affinché non snaturassero i tratti accuratamente meditati dei suoi disegni. Libro dei combattenti cinesi e giapponesi è considerato una summa degli studi con cui l’artista applicava tutte le regole costruttive geometriche delle proprie opere, le cui immagini coincidevano minuziosamente con linee diagonali e cerchi invisibili.
Ragni giganti come aiutanti per Wakana
Uno dei romanzi a puntate più amati parla della principessa che, salvata dallo sterminio della famiglia e cresciuta in segreto dalla balia, è odiata dalla sorella di lei. La zia putativa la manda a lavorare in un bordello, strozza la propria sorella e manda due sicari in agguato della ragazza. Uno spirito dei monti con poteri da ragno interviene donandole poteri magici e la capacità di evocare ragni enormi in suo aiuto.
Netsuke collezione Bertocchi
I netsuke erano fermagli usati come ancoraggio per borsellini, porta tabacco, set da scrittura e sopperire alla mancanza di tasche nei kimono. Tra i motivi più diffusi, quello a vongola con le miniature racchiuse da valve incise, oppure zucche, pugnali, maschere del teatro Noh e i più sorprendenti karakuri (“trucco/meccanismo nascosto”) contraddistinti da parti mobili che creano espedienti comici o erotici.
Acque insidiose – il Kappa
Yōkai dispettoso dallo strano aspetto anfibio che vive in latrine e fiumi, dove importuna prevalentemente le bagnanti. Particolarmente disgustosi, questi esseri possono trascinare in acqua bambini e bestiame e cibarsene dagli sfinteri. Un kappa con una statua commemorativa, però, esiste – oltre al simpatico cenno social-oriented della mostra – ed è stata eretta nei pressi del fiume Sumida, perché si ritiene che l’essere abbia evitato l’inondazione del villaggio Asakusa.
Ninghyo – Sirene prelibate ed eterna giovinezza
Se ne avvisti una, fai gli scongiuri. Sono paragonabili alle nostre sirene medievali e alle tritonesse greche. Ritratte da Hokusai in varie forme, generalmente con coda di pesce e volto umano, si ritiene non abbiano un’autocoscienza. Anche il loro apparato riproduttivo è umano, ma è sconsigliabile per la vita dei marinai avventurarsi con esse. Inoltre, cibarsi della loro carne profumatissima porterebbe alla morte per avvelenamento o alla pazzia; la figlia di un monaco di ritorno da un viaggio in mare ne assaggiò per caso un boccone e ignara invecchiò e seppellì tre mariti, ringiovanendo ogni volta ma perdendo la ragione.
Yurei multiformi
Gli Yurei possono essere fantasmi, spettri e non-morti, come: l’Hone Onna, la donna scheletro che torna per risucchiare la linfa vitale dell’amato dormiente; la bellissima donna delle nevi Oyuki; la Bakekujira, carcassa di balena; i Nekomata, gatti negromanti che usano le code per comandare i cadaveri come marionette; i Kingyo no, fantasmi di affogati che hanno posseduto pesci rossi.
“Modigliani” horror
La nuca femminile era considerata estremamente sensuale, creature dalle sembianze di donna col collo lungo come le Rokurokubi si divertono a spaventare gli ubriachi e i pazzi consapevoli che nessuno crederà ai loro racconti.
La variante Nukekubi, più temibile, può scindere dal corpo la propria testa – questa, volando di notte, vampirizza i viandanti, salvo il corpo venga trafitto prima dell’alba, annientandola. I masticatori di colli Kubikajiri sono particolarmente interessanti dal punto di vista sociale, sono gli spiriti degli anziani abbandonati dalle loro famiglie, ghiotti di teste freshly dead.
Ossa trasformiste
Le ossa delle fosse comuni possono unirsi a creare un Dokuro no Kai, enorme teschio che sfida le persone a sostenere il loro sguardo, pena la morte. Il simbolo della mostra è proprio il trittico di Kuniyoshi Utagawa La principessa strega Satsuki-Takiyasha evoca lo scheletro del padre, ovvero un enorme Gashadokuro composto dagli scheletri dei soldati morti in battaglia nel rancore, che vaga nelle campagne. Il rituale suicida dell’harakiri e del seppuku per un samurai sconfitto in battaglia aveva anche un ruolo di autoregolazione; evitava che tornasse a vendicarsi di chi lo aveva ucciso.
Luci e ombre della Vendetta
In Giappone la vendetta è un atto di equilibrio che ristabilisce l’ordine dopo un torto subito. Un atto di equità che se frustrato dal troppo sangue versato o dalla tarda realizzazione di questa lecita punizione, può svilupparsi in rancore – impossibile da esorcizzare quando raggiunge livelli estremi – che incatena le anime dei defunti trasformando le vittime in ciechi carnefici o Yurei (da yu che significa evanescente, ma anche oscuro, e rei o spirito). In caso di morte violenta o impossibilità di celebrare adeguatamente i riti funebri, il reikon-anima non può lasciare il limbo nè diventare protettore della famiglia e subiscono la potente energia di trasmutazione rancorosa diventando Yurei implacabili. La loro corruttibilità li rende così un informe e degenerato Spirito delle Cose (Mononoke) o i fuochi fatui azzurri. Tratti comuni nelle loro apparizioni sono i capelli sciolti e disordinati, il pallore, i piedi scalzi o in posizioni insolite.
Climax
Per le serpentiformi fanciulle Honnari le preghiere di purificazione sono acqua fresca, assolutamente inutili. La principessa Kiyohime – eroina tragica prediletta dal teatro kabuki – concesse asilo al monaco Anchin, invaghendosene e progettando con lui la fuga romantica resa impossibile dai ceti sociali dei due. Mentre lo attendeva lungo il fiume lo vide passare sulla riva opposta, ignorandola. I compagni del monastero lo avevano convinto ad abbandonare i piaceri terreni scatenando l’ira della ragazza, che gettatasi nell’acqua per raggiungerlo sentì il proprio kimono bagnato trascinarla sul fondo. Spinta da un’incredibile foga riuscì a contrastare la corrente grazie al fatto che le sue estremità si tramutarono in una coda di serpente acquatico. Il monaco si rifugiò nel tempio dentro una campana di bronzo che la principessa-serpente abbracciò più volte. La passione tra i due si trasformò in fiamma che arse gli amanti.
Un rito di coraggio
La chiave di lettura dell’horror giapponese è l’attesa, com’è evidente nelle pubblicazioni del 19° secolo in mostra e nella filmografia contemporanea – come in The Ring, dove il fantasma sarebbe apparso dopo sette giorni – con un’escalation di tensione che conduce allo spavento finale. Lo stesso meccanismo avviene nel Rito delle 100 candele, dove l’attesa dell’alba è movimentata dall’attesa del mostro che apparirà quando l’ultima candela sarà spenta. La mostra Yōkai si apre proprio con la sala immersiva che fa rivivere al visitatore questa spaventosa e leggendaria esperienza. Si suppone che il rito sia stato inventato da alcuni samurai nel XVII secolo come prova di coraggio: dopo il tramonto essi si riunivano in una stanza illuminata dalla luce di cento candele, ognuno a turno doveva raccontare una storia di Yōkai, i mostri giapponesi appunto, poi doveva alzarsi, spegnere un lume, prendere uno specchio e specchiarvisi nell’angolo più lontano dagli altri: l’oscurarsi progressivo della stanza accompagnava la narrazione di racconti sempre più spaventosi e carichi di suspense.
Così i visitatori della mostra accedono a una stanza totalmente buia, punteggiata da cento candele in spegnimento progressivo, accompagnati da una voce altisonante che interpreta lo spirito di un vecchio samurai impazzito dopo aver incontrato un vero Yōkai nella notte.
La stessa voce accompagna il percorso espositivo arricchendolo di suoni e racconti inaspettati, capaci di far vivere tra noi evocazioni lontane che non hanno mai smesso di echeggiare.
A cura di Tiziana Elena Fresi
Ph: TEF