GRANDE SUCCESSO DI CRITICA E DI PUBBLICO PER VISIONI SARDE ALLA CASA DEL CINEMA DI ROMA.
La scorsa settimana si è svolta a Roma la consueta tappa di Visioni Sarde con il relativo Premio del pubblico.La rassegna splendidamente organizzata dall’Associazione Il Gremio presieduto da Antonio Maria Masia ha avuto la cornice prestigiosa e recentemente rinnovata Casa del Cinema, all’interno di Villa Borghese.
Visioni Sarde, grazie alla proficua collaborazione tra la Cineteca di Bologna, la Sardegna Film Commission e l’ Associazione di volontariato Visioni da Ichnussa da anni, promuove in Italia ed a livello internazionale le migliori opere brevi prodotte, dirette o interpretate da autori sardi e girate in Sardegna.
I cortometraggi presentati spesso si fanno ponte culturale ed antropologico tra una visione tradizionale, talvolta arcaica ed ancestrale dell’Isola, e la Sardegna contemporanea, così simile ma anche così diversa rispetto alla Terraferma, al Continente.
Anche quest’anno i 7 film finalisti sono selezionati da Anna di Martino della Cineteca di Bologna. Riescono a declinare l’essenza dell’anima sarda in sette diversi modi. I racconti spaziano dal tono della commedia surreale a quello della tragedia greca (o sarda?). Non solo; anche dalle tonalità della malinconia a quelle del realismo amaro e della memoria come chiave di interpretazione del presente. In ben tre corti è presente un riferimento forte alla pandemia ed alle difficoltà e solitudini che ha recato alla collettività.
Le parole del critico e storico del cinema Raffaele Rivieccio per i corti di Visioni Sarde
“12 aprile” di Antonello Deidda, utilizza il meccanismo del viaggio nel tempo. Uno dei topos classici della storia del cinema, in una chiave totalmente nuova e fantascientifica. Qui è un Ritorno al Passato nei toni della commedia e della comicità. E’ una sorta di “fantascienza all’italiana”; un corto pieno di idee e di meccanismi surreali ed assurdi ed al tempo stesso molto divertenti.
“Fradi miu” di Simone Contu riporta in un entroterra sardo moderno ed arcaico. Tra telefonini e bestiame, i sentimenti primitivi di vendetta e l’irrevocabilità delle scelte di sangue e delle faide che dividono gli uomini come le faglie dividono la terra. Un film, quello di Contu, potente e shakespeariano.
“Mammaranca” di Francesco Piras riesce ad attualizzare e contestualizzare a Cagliari, umori della migliore stagione neorealista. I due bambini protagonisti, si muovono tra quotidianità e tragedia. Ricordano molto da vicino i due ragazzi protagonisti di Sciuscià.
“Santamaria” di Andrea Deidda rievoca un episodio poco noto e triste dello sport sardo. Costruisce intorno alla piccola epopea di un giovane e sfortunato pugile sardo, una storia esemplare di coraggio. Una voglia di emergere sullo sfondo di una Italia ancora ingenua ed appassionata; non solo: anche di una Sardegna “della boxe” raccontata anche dal bel “Pesi leggeri” di Enrico Pau.
“Senza te” di Sergio Falchi è un meraviglioso affresco sulla vecchiaia, sulla morte, sulla memoria nei toni di una dolcissima e struggente malinconia. Questa, infatti, alterna visioni allucinatorie su un’Aldilà e di reincontro con una donna amata e morta. Ma forse però torna per il tempo di un abbraccio nella vita terrena. Meravigliosa la prestazione del protagonista Giampaolo Loddo, recentissimamente scomparso e già novantenne alla realizzazione del film.
Gli altri corti
“Una splendida felicità” di Simeone Latini si pone come una originale formula cinematografica ma anche ipertestuale di poesia per immagini o di prosa lirica. Procede comunque per immagini ed attraverso l’interpretazione degli attori. Il passaggio da una dimensione mediatica, telematica, informatica dei protagonisti ad una reale, tangibile, carnale è il bellissimo augurio di Latini per l’uscita dalla clausura da pandemia ma anche dalle videogabbie in cui tutti ci stiamo rinchiudendo oramai da più di un decennio e dalle quali, ci dice Latini, forse possiamo uscire più facilmente di quanto pensiamo.
“La Venere di Milis” di Giorgia Puliga è una divertente e simbolica parabola, anche dissacrante, sui miti di una regione ma anche della più archeologica delle nazioni come l’Italia. Il protagonista, un Angelo Orlando in stato di grazia, ritrova in un campo che sta arando un busto forse preistorico, forse megalitico, una sorta di Venere dell’abbondanza che potrebbe portare a lui abbondanza se riuscisse a venderla. Non andrà come nei suoi piani ma riuscirà comunque ad arricchirsi, commercializzando riproduzioni e gadget della statua originale. Il film di Puliga segna il passaggio tra l’antichità dell’archetipo e del Mito all’epoca moderna dell’opera riproducibile per la massa. Dall’arte alla pop art.
Il Premio del Pubblico, alla fine della rassegna, è stato attribuito a Giorgia Puliga che emozionata ed applauditissima, ha ringraziato il numeroso pubblico presente.
Un grazie particolare deve essere rivolto a Franca Farina, del Associazione Il Gremio, per il suo instancabile e curatissimo impegno, ed a Enzo Cugusi coordinatore della manifestazione.
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* Presidente dell’Associazione “Visioni da Ichnussa”
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