La storia di una donna sarda del Cinquecento inquisita e condannata dal tribunale del Sant’Uffizio della Sardegna.
Di lei sappiamo molto, ma non tutto, grazie soprattutto agli atti processuali custoditi nell’Archivo Histórico Nacional de España a Madrid, nella sezione dedicata alle “Inquisiciòn”.
Julia Carta: la storia
Julia Carta nasce a Mores nel 1561 circa da Salvador Casu, muratore, e Giorgia de Ruda Porcu Sini; aveva altri quattro fratelli e due sorelle e crebbe con loro in condizioni di povertà e analfabetismo.
A venticinque anni sposa l’umile contadino Costantino Nuvole e decide, così, di trasferirsi nella vicina Siligo. Dal matrimonio nasceranno sette figli, tutti morti in tenera età tranne uno: Juan Antonio.
Strega temuta e ricercata
Julia Carta era fattucchiera, curava malattie e produceva amuleti per assicurare la protezione dal male. Mescolava le conoscenze magiche con quelle medico terapeutiche acquisite soprattutto grazie alla nonna materna, Juana Porcu.
Numerose pratiche magiche sono descritte anche negli atti processuali: l’utilizzo delle monete spagnole anche di zecca sarda serviva per la costruzione di amuleti o per predire avvenimenti futuri; la polvere delle ossa dei morti serviva per impedire a qualcuno di fare del male ma anche a provocare la pioggia in momenti di prolungata siccità.
Julia Carta si metteva a disposizione delle persone che prima avevano chiesto il suo aiuto e le sue cure per poi accusarla pesantemente; le sue pratiche erano impiegate in buona fede e mai con scopo di lucro. Anche nelle pratiche nelle quali erano richieste le monete Julia Carta ribadiva: “Pensate che queste monete le chieda per me? Non troverete né ochinas né detrés”.
Le accuse
A Julia Carta erano mosse, da parte del procuratore fiscale del Santo Officio Thomas Pitigado, numerose e pesanti accuse:
la Carta si era recata a casa di una donna malata per praticare dei suffumigi e portò con sé delle braci ben accese ma, ad un certo punto, gettò sulle stesse qualcosa che le spense di colpo. Questo significava che la malata era morta. Alle richieste di spiegazioni dei presenti rivelò che la donna malata aveva fatto scendere la luna affinchè rivelasse le sorti di una certa persona che si trovava in carcere. L’inferma aveva raggiunto, così, il suo scopo e sarebbe deceduta quando il gallo avesse cantato; così accadde.
Julia Carta era, inoltre, accusata di aver consegnato ad una certa persona un fazzoletto con ossa di morto; questa persona doveva riporre il fazzoletto con le ossa nella porta del governatore di Sassari per evitare che questi potesse fare del male a un’altra persona.
Infine, un’altra persona inferma si recò a casa di Julia Carta per farsi curare e quest’ultima le chiese di portare con sè: tre pezzi di tegola della chiesa, tre pezzi di pietra pomice e polvere, palma benedetta, rosmarino, ruta e cùscuta, un particolare genere di pianta; mise tutti questi elementi in un vaso di terracotta dove c’erano vino, acqua benedetta e orina, fece spogliare e sedere l’ammalata in una sedia sardesca vicino al fuoco; mise, infine, il vaso nel fuoco ed espose al fumo la persona.
L’arresto e i processi
Julia Carta venne arrestata il 18 ottobre del 1596 a Mores, segretamente denunciata da una ragazza di Siligo che riferì al parroco del paese di aver sentito Julia esprimere particolari idee riguardo al sacramento della confessione.
Julia riteneva che i peccati, non tutti e non sempre dovessero essere detti in confessione, ma bastava confessarli dentro un buco nel pavimento davanti all’altare della chiesa o in casa sotto il lenzuolo.
Da questa delazione in poi Julia Carta fu accusata di numerose azioni “malvagie”: di aver fabbricato amuleti e di aver provocato la morte di una persona con un maleficio; su di lei pendevano, inoltre, sospetti di eresia, ufficialmente formulati dal procuratore fiscale del Santo Officio, Thomás Pitigado.
Julia Carta riceve, così, tre ammonimenti e con questi si invitava l’accusata a confessare per concludere velocemente la causa; Julia Carta decide di non confessare. L’accusa la considera una strega e, per le sue affermazioni sulla confessione, anche una luterana eretica.
La camera del tormento e la condanna
Dopo essersi professata innocente si aprirono per lei le porte della camera del tormento e la minaccia della tortura la portò a confessare e a implorare il perdono di Dio.
Nel 1597 arrivò la sentenza di condanna: tre anni di carcere, confisca dei beni, riconciliazione con abito penitenziale, obbligo di partecipare alla messa ogni domenica e confessione e comunione almeno tre volte all’anno, oltre alla recita del rosario ogni sabato.
La strega Julia Carta, negli anni successivi, ricadde negli stessi gravi peccati: nel 1604 risulta di nuovo prigioniera nelle carceri segrete di Sassari ma riesce nuovamente a salvarsi dal braccio della morte; ottiene la riconciliazione e viene condannata a pena detentiva.
L’ultimo documento nel quale si parla di lei risale al 1614, quando l’abito penitenziale scompare dalla Parrocchiale di Siligo, dove era sistemato come monito per non dimenticare l’oltraggio compiuto dalla strega.
La data e il luogo della sua morte sono, purtroppo, a noi sconosciuti.
Donna e strega
La storia di Julia Carta racconta di una donna, etichettata dalla comunità come strega e messa ai margini della stessa, perseguitata ed inquisita.
Una donna povera, analfabeta, che aveva deciso di essere libera, di scegliere come vivere la sua vita e, per questo, accusata di essere una strega ed eretica.
Nel 2012 il Comune di Siligo presenta richiesta alla prefettura di Sassari per intestare una strada del paese a Julia Carta ma la richiesta è negata. Un personaggio che ancora oggi, dunque, risulta controverso e oggetto di dibattiti.
Una donna che lascia, comunque, un segno profondo nella storia della tradizione popolare sarda.
Elena Elisa Campanella