Uno degli appuntamenti più consolidati dell’estate cinefila bolognese, autorità per il genere documentario con massiccio riverbero oltre le giornate del festival, è Biografilm – da poco conclusosi nella sua 19^ edizione, contando 12 mila spettatori. Biografilm cambia formato ma mantiene intatto il valore dell’esperienza e della narrazione in prima persona da parte degli autori. Abbiamo intervistato Chiara Liberti e Massimo Benvegnù – curatori di lungo corso, alla prima esperienza come nuovi Direttori Artistici di Biografilm – International Celebration of Lives.
I festival del cinema sono un concentrato di contenuti che non si esauriscono nei soli giorni di programmazione, ma hanno seguito nei percorsi successivi dei film sia in manifestazioni consimili, sia – auspicabilmente – forti di una distribuzione che li faccia approdare in sala, ovvero su piattaforme di streaming.Proprio del rapporto privilegiato tra Biografilm e la distribuzione I Wonder Pictures potranno beneficiare gli estimatori dell’eclettico Michel Gondry – il cui ultimo film Book of Solutions è stato presentato a Bologna in anteprima post-Cannes alla presenza del regista e sarà nei cinema italiani questo autunno. Un nome di sicura risonanza per una fiction di matrice autobiografica tra i molti documentari del festival, che ha uno dei maggior pregi nella valorizzazione di produzioni internazionali e nazionali anche molto piccole.
Come avete impostato questo Biografilm?
C.L. – Siamo una realtà artistica di nicchia in un certo senso perché la nostra specialità è il documentario, ma parliamo con tutti concentrandoci sul presente e seguendo un criterio di diversità di contributi, talenti, narrazioni.
Lo scopo è usare ogni film per parlare delle varie realtà e con le varie realtà – com’è avvenuto per i progetti educativi e le stesse associazioni che hanno fatto parte del nostro percorso di valorizzazione delle opere.
M.B. – Biografilm è dieci giorni di celebrazione della comunità, che include cineasti, associazioni, addetti ai lavori, ma anche istituzioni e pubblico. Abbiamo preso la decisione rigorosa che i dieci film in concorso fossero dieci biografie personali, senza un argomento specifico, ma dieci storie di dieci persone da far conoscere al pubblico nella formula “Io sono Apolonia”, “Io sono Cristina Cattaneo” (protagonista di Sconosciuti Puri, ndr), poiché il confronto deve essere tarato sulla prima persona. Il nostro vantaggio, che reputo prima dote di un festival, è proprio il pubblico di Bologna che è curioso anche verso contenuti difficili – oltre alle commedie divertenti e alle storie più toccanti.
Questo festival è in questo senso militante, abbiamo proiettato Ithaka, il nuovo documentario su Julian Assange, Sconosciuti Puri che non ha ottenuto nessuna distribuzione nè passaggio televisivo, come pure il documentario sul Sindaco di Predappio The Mayor – Me, Mussolini and the Museum, prodotto dalla RAI, ma che la RAI non mette in onda.
É il nostro lavoro occuparci di queste cose.
Come avete condotto la selezione? Quale film in particolare ha fatto dire l’un l’altra: “Questo dobbiamo averlo”?
M.B. – Sono tutti amici della Liberti, registi raccomandati e chi ci ha offerto più soldi (ride, ndr).
C.L. – Ce ne sono stati tantissimi, ma il primo è stato Apolonia Apolonia, quando l’ho visto la prima volta ho chiamato immediatamente Massimo. Nel lavoro curatoriale era chiaro a priori come costruire il concorso e le sezioni, quello è stato il primo film assolutamente Biografilm; fortissimamente biografico, altissimo il livello. Quindi ho impezzato Massimo (in bolognese significa “attaccato bottone”, ndr), abbiamo anche dibattuto con punti di vista talvolta vicini e talvolta distanti. É stato il primo film che abbiamo inserito in concorso.
M.B. – Io ho imposto Geology of Separation (sorride, ndr). Scomodo, difficile, due ore e mezza in bianco e nero, pochissimi dialoghi ma la cui forma serviva a far capire la difficoltà, la noia e i problemi dei richiedenti asilo in Italia. I registi sono una coppia giovane e coraggiosa che si è autofinanziata, mi aveva colpito il modo in cui parlavano del loro film al Festival di Rotterdam e finita la proiezione gli ho detto che li avrei voluti a Biografilm, loro hanno accettato anche rifiutando inviti di altri festival italiani. Non è un film propriamente per il nostro pubblico, però alla fine abbiamo ricevuto complimenti per questa scelta estrema di programmazione. In sala non era rimasta molta gente al termine, ma il film ha vinto in premio la selezione al Festival di Helsinki e sono contento che attraverso Biografilm questo film continuerà a viaggiare. Questo non è un film perfetto, ha tutte le imperfezioni di due giovani molto ambiziosi ma i festival servono anche a questo, noi ci siamo accorti di loro. A me piace allargare il campo d’azione del Biografilm e me ne prendo la responsabilità.
A volte si tratta di fare un investimento sul futuro e quando tra 10 anni questi due ragazzi faranno un film importante in Italia potremo dire che la loro opera prima è stata al Biografilm.
Il q&a è il momento successivo alla proiezione in cui il pubblico si confronta con registi, produttori o protagonisti del film. Quali film hanno suscitato la partecipazione più coinvolta?
C.L. – Abbiamo battuto il record quest’anno! La cosa per noi più bella è stata vedere le sale piene e cogliere lo scambio di opinioni tra persone dopo la visione in sala. Mi piace pensare al momento del q&a come a un ponte tra gli autori che durante l’anno stabiliscono con noi un dialogo e le persone che vengono in sala vogliono vivere quell’esperienza.
Noi scaldiamo la stanza cercando di innescare un senso di intimità che per noi è un incredibile valore aggiunto, ma le domande del pubblico assecondano in modi anche inaspettati questa cosa.
Cito due occasioni che ho moderato. Il primo film è And, Towards Happy Alleys, sui diritti delle donne iraniane – dibattito lunghissimo e la regista indiana Sreemoyee Singh ha anche cantato per noi, è stato coinvolgente. L’altro è Sconosciuti Puri, emblematico perché incarna un messaggio cruciale e i talenti che lo veicolano, il nostro valore di curatela vuole valorizzare proprio questo e nel dibattito è emerso con forza.
M.B. – É bellissimo quando un film fa partire subito la scintilla e io, come anche Chiara, cerco di mettere da parte il mio ego per lasciare che il dialogo sia il più possibile spontaneo. I miei due film sono All you See, dove le domande del pubblico sono arrivate immediatamente e l’altro è Ventimila Specie d’Api, che coinvolgeva associazioni coinvolte nella tematica e si andava anche a parlare di esperienze personali.
Il festival ha subito una riconfigurazione, puro nel suo essere incentrato sui film più che sui grandi eventi collaterali delle scorse edizioni. Sarà prevista una integrazione in certa parte o il Parco del Cavaticcio rimarrà vuoto?
C.L. – Per noi è importante che il baricentro del Biografilm sia sempre sui film, ma non sono da escludersi eventi musicali correlati.
M.B. – I festival del cinema possono anche ibridarsi e mi piacerebbe portare qualche personaggio pop. Se fosse venuto Iggy Pop a presentare Tell me Iggy sarebbe stato bello fargli fare un concerto in Piazzetta Pasolini!
Possiamo dirlo? C’è stato un attimo in cui abbiamo chiesto a una bravissima autrice musicale italiana di partecipare, dunque siamo assolutamente a favore ma mi sembra che la città di Bologna abbia una schedule intensa in tal senso. Durante il festival di quest’anno c’erano così tanti concerti che non volevo andare al mio festival per poter vedere esibirsi gente come Lydia Lunch che è la storia del punk e suonava gratis al parchetto della Montagnola, poi accanto a questi artisti di nicchia botte di 50 mila persone come per Zucchero a Campovolo, insomma una scelta molto varia e da appassionato di musica se vedo che mentre noi facciamo il festival di documentario c’è questa offerta musicale, noi non possiamo entrare in questa cosa. Quanto al Cavaticcio è vuoto per varie questioni tra cui l’agibilità. Il parco è pericolante e le recenti alluvioni hanno peggiorato la situazione. Ci sono anche problemi strutturali negli edifici immediatamente adiacenti. Negli ultimi anni – in particolare a seguito di una legge del 2019 in Italia è diventato burocraticamente complicato costruire strutture apposite per spettacoli, diventa anche oneroso creare un palcoscenico ad hoc. Ero contento di vedere il Cavaticcio pieno, ma ora sono contento di vedere le sale piene.
Volete aggiungere qualcosa sulla vostra esperienza di co-direzione?
C.L. – Comunità e diversità sono le parole chiave, ci siamo resi conto che una direzione artistica a due persone non è semplice, ma questo dialogo si è tradotto sia nel modo in cui abbiamo lavorato in questi mesi che nella diversità come valore cruciale nel programma.
M.B. – Ci concordiamo anche gli outfit, se Chiara indossa il rosa io indosso il blu. Vorrei che l’articolo avesse a titolo “Benvegnù-Liberti: armocromisti di se stessi”.
A cura di Tiziana Elena Fresi.