Piazza Maggiore ha ritrovato senso, trasporto e vigore con la proiezione di Arrivederci Berlinguer! nell’ambito della manifestazione Sotto le Stelle del Cinema 2023 – Cineteca di Bologna. Musicato dal vivo da Massimo Zamboni, il film è una riedizione de L’addio a Enrico Berlinguer, in cui i grandi autori cinematografici del tempo documentavano i funerali del segretario PCI.
In film dei registi bolognesi Michele Mellara e Alessandro Rossi in collaborazione con AMOD (Archivio del Movimento Operaio e Democratico) e Cinema Zero vuole riportare al centro del dialogo sociale una visione egualitaria di politica e creare ispirazione nelle nuove generazioni a partire dai volti, le mani e le emozioni condivise dai presenti – militanti e persone comuni – che diventano così fulcro dell’opera.Il nuovo montaggio privilegia i ricordi privati di lavoratori segnati e bambini sconfortati e una sfilata di pugni alzati in cui la fierezza dei conterranei sardi convenuti si mescola nella stima comune al senso di appartenenza esibito dai braccianti del sud Italia.
I rappresentanti delle istituzioni nazionali e internazionali diventano figure di passaggio; è la gente a parlare con semplicità, quella semplicità e chiarezza mosse dal bisogno di diritti e da onestà intellettuale che si riconoscevano da ogni schieramento allo stile e alla caratura morale di Enrico Berlinguer.
I filmati che lo ritraggono vivente – nel suo ultimo accorato discorso o tenuto goliardicamente in braccio da Benigni o nei fendenti riferiti alle battaglie sociali sostenute dalla sua direzione, quali quella per il divorzio, il lavoro e la parità di genere – si innestano su quello che si configura in grossa parte come un film muto, musicato magistralmente da Massimo Zamboni (CCCP, CSI) accompagnato da Cristiano Roversi (tastiera) ed Eric Montanari (chitarre).
Il progetto secondo i registi
Non nuovi alle collaborazioni con la Cineteca di Bologna, Mellara e Rossi (Mammutfilm) hanno prodotto in passato il documentario La Febbre del Fare – altro film di montaggio d’archivio, incentrato sulla storia politica di Bologna dal Dopoguerra al 1980.
Così su Arrivederci Berlinguer!
“Raccontiamo Berlinguer a partire dalla grande partecipazione popolare al suo funerale.
La colonna vertebrale del nostro film è costituita da L’addio a Enrico Berlinguer, film corale realizzato da buona parte del meglio della cinematografia italiana, tra gli altri: Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Silvano Agosti, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Giuliano Montaldo, Ettore Scola, Gillo Pontecorvo. Abbiamo cercato di ridurre il senso celebrativo/liturgico del filmato originale legato a quei tempi e di privilegiare il rapporto umano che Berlinguer riuscì ad avere con le masse popolari.
Nel nostro nuovo montaggio abbiamo inserito un’attenta selezione di filmati messi a disposizione dall’AAMOD nei quali si mostra l’affetto e il rapporto simbiotico della gente con il suo leader.
Il montaggio del film è pensato in chiave emozionale, in grado di coinvolgere il pubblico poggiandosi sulle composizioni musicali e la chitarra di Massimo Zamboni: la reiterazione del gesto, le folle, la commozione delle donne, dei politici, delle masse operaie, degli ultimi e dei capi di stato, i pugni alzati, tutto questo diventa sinfonia visiva e musicale allo stesso tempo.
Un film di montaggio che guarda in avanti, che non vuole celebrare ma dare spunti: per riflettere, per ritrovare il nostro passato prossimo che sembra evaporato in una nuvola di stordita dimenticanza, per ripensare la politica, per capire cosa significa farla e viverla come comunità e in prima persona: oggi urgenza quanto mai necessaria” – così i registi Michele Mellara e Alessandro Rossi.
L’intervista
Abbiamo intervistato il montatore e colorist Corrado Iuvara.
Com’è nata la tua partecipazione al progetto?
Quando sono entrato nel progetto, i produttori AMOD e Cinema Zero/Pordenone Docs Fest, insieme ai registi Mellara e Rossi cui si sono affidati, avevano già concepito l’idea. Insertare sul funerale i materiali d’archivio ha fatto sì che anche chi non conosceva il personaggio potesse sentirne i discorsi (attualissimi) sui temi del lavoro, del femminismo, dell’ambiente.
La sfida è stata andare a togliere, privilegiare questa massa oceanica e individuare i singoli volti di operai e militanti, il senso di commozione per questo evento epocale – se affianchiamo i recenti funerali di Berlusconi a quelli di Berlinguer non c’è paragone..
Il lavoro per me è stato sì asciugare ed eliminare elementi obsoleti, ma anche dare una struttura diversa e più funzionale agli scopi del nuovo progetto.
Che tipo di scelte avete fatto?
Il grosso della nostra struttura narrativa si basa sulla camera ardente e sulla suddivisione in blocchi dei vari picchetti – i minatori sardi, i membri del PCI, Arafat, attori e registi dell’epoca. Questi picchetti vanno a scandire il corpo centrale del film e all’interno succedono delle cose, ma la parte più montata e ritmata è quella iniziale. Abbiamo creato un’intro e trovo sia efficace che abbia la voce di Berlinguer, al cui volto si sostituisce quello dei militanti. Segue una sequenza a pugni alzati che lascia entrare Zamboni e parte un montage di vari comizi che presentano il personaggio nella sua veste più grintosa, infatti Berlinguer era una persona molto timida e riservata, ma durante quei comizi esplodeva. Con Mellara e Rossi – che sono due veri topi d’archivio, molto bravi nel capirne le potenzialità – ne abbiamo vagliati una decina, fino a quello del lascito in cui è evidente la sua dedizione, quanto ci credeva, anche le ultime parole in cui incita al lavoro, a lavorare tutti, a lavorare per strada, a lavorare sempre, sono fortissime! Lui ci lascia così.
Durante quel discorso stava già male e si sentono in sottofondo i militanti che rendendosi conto della gravità della situazione gli chiedono di fermarsi – solo tre giorni dopo è spirato.
Per me trattare queste immagini è stata un’esperienza pazzesca sia per il racconto in sé – con questa partecipazione popolare incredibile – sia per le immagini girate dai maggiori registi dell’epoca – tra i quali Bertolucci e Scola – e capisci bene che a questi livelli il banale reportage assume una particolare forza interiore, sprigiona tutta la potenza delle immagini, nonostante quelle più clamorose siano solo nell’ultima parte del film, con l’elicottero che sorvola la piazza gremita, ma gli altri 40 minuti sono sostanzialmente interviste fatte per strada.
Ci sono parti di film, incluse queste interviste a fiume, che abbiamo mantenuto nella loro integrità, il film originale è stratosferico quindi abbiamo osservato un certo rispetto per il materiale, limando le parti meno funzionali alla fruizione contemporanea e alle specificità del progetto.
Particolarmente evidente è l’assenza di dichiarazioni dei politici, ma avete mantenuto quelle dei bambini. Questa partecipazione dell’infanzia oggi difficilmente esisterebbe, è uno scollamento dal contemporaneo e per quanto non si potesse certamente parlare di coscienza politica quelle interviste talvolta buffe testimoniano una percezione delle circostanze politiche nella quale tutti erano immersi.
Oggi non esiste anche perché c’è una disaffezione alla politica. Persino avere idee politiche sembra motivo di vergogna, quindi sì, assolutamente, quella cosa non è attualizzabile ed è ciò che sconvolge di più. Se parli con gente come Zamboni, a Reggio Emilia il PCI faceva l”80%, loro nascevano comunisti, anche se come dice Berlinguer nel film Non si nasce comunisti, ma si diventa comunisti. In sostanza, il partito aveva un ruolo sociale e oggi ne ha veramente poco.
Elemento unificatore è la presenza di rossi così predominanti. Com’è avvenuto il lavoro sulla color da fonti composite?
É stato necessario dare una coerenza alle fonti insertate, che sono state riadattate al film originale.
Il rosso era ovunque. In genere si tende a scaricarlo, ma in questa color lo abbiamo tirato fuori e saturato. Mi piace che sia tu che i registi ai quali poi l’ho mostrata ne abbiate apprezzato il risultato. A livello tecnico abbiamo lavorato su file a bassissima risoluzione, poi sono arrivati dall’AMOD tutti gli archivi in alta risoluzione e questo consente di poter dare uno stile al materiale. Lavori sempre con qualità non dico scadenti, ma sfavorevoli; la stessa digitalizzazione di una pellicola non si sa mai da chi e come sia stata fatta, può arrivare con mille dominanti diverse, anche lì devi immaginare l’effetto finale.
Come vi siete coordinati con la musica di Zamboni?
Il lavoro con la musica è stato particolarissimo. Questo film doveva essere ripensato anche per l’intervento di Massimo e una musica che non conoscevamo. Inizialmente richiedevo sue tracce da appoggiare sotto il girato, come in genere si fa nel montaggio video, ma durante la lavorazione ci siamo detti che per una volta avremmo lavorato solo con le immagini dandogli piena potenza. Abbiamo ipotizzato dei punti-chiave, i momenti più emozionali, in cui Zamboni avrebbe scelto di accompagnare con musica e cantato. Secondo me la grande intuizione – della quale mi prendo il merito – è stata dedicargli 10 interi minuti sul finale, rimuovendo integralmente l’audio per lasciare la parola a lui. Temevamo potesse essere una proposta azzardata e invece quando gli abbiamo mandato il film finito lui era molto soddisfatto, non una virgola di modifiche.
La cosa più bella dell’intero progetto per me è che il film musicato lo abbiamo visto per la primissima volta durante la prima proiezione. Zamboni non aveva registrato dei pezzi, non avevamo commentato “questo è bello e questo no”. Nessuno di noi – montatore, registi, produttori, nessuno – aveva mai visto il film con le musiche!
Ci sono momenti in cui l’interpretazione musicale si sovrappone all’aspetto verbale del film, che pure è coadiuvato dai sottotitoli, ma anche perdere qualche parola di quelle dichiarazioni non distoglie dal senso olistico del progetto e questo rende il tutto ancora più vivo e interessante.
La difficoltà tecnica dei tre musicisti è che nonostante abbiano come riferimento i timecode si devono di volta in volta coordinare nella partenza e uscita del brano, cosa non semplicissima.
Nessun concerto è uguale all’altro e lo stesso mood della piazza influisce. Come rimarcava lo stesso Zamboni al termine, per questo contenuto Piazza Maggiore ha un forte valore simbolico e il suo pubblico ha avuto una partecipazione innegabile. Qual è stata la tua impressione?
Sfortunatamente ero seduto tra gli addetti ai lavori e non ho potuto cogliere il mood di Piazza Maggiore – che è la terza proiezione dopo Trastevere a Roma – ma posso dirti che alla prima proiezione al Pordenone Docs Fest è successa una cosa incredibile..
Alla mia sinistra era seduta una bambina di circa 10 anni, alla mia destra un’adulta, estranee. Dopo mezz’ora dall’inizio del film entrambe piangevano a dirotto e lì ho capito che il mix di questa musica, queste immagini, questo evento, questa figura, funzionava.
Se ti colpisce così e a tutte le età, come accadeva al funerale di Berlinguer, la percezione è di qualcosa di buono. Il messaggio è arrivato dritto e forte.
Quanto ti senti a tuo agio con contenuti di tema politico e valore civile?
Ho un passato da militante. Da ragazzino, in Sicilia, ero uno dei responsabili dei Giovani Comunisti del mio paese. Facemmo prendere a Rifondazione il numero maggiore di voti nella storia di Noto: la bellezza di 80 voti. Mellara e Rossi però questo non lo sanno (ride, ndr).
Cosa ti spinge a scommettere su Bologna col tuo laboratorio Korelab e quali sono le differenze d’approccio tra progetto locale e grossa produzione internazionale?
Insieme al mio socio Walter Cavatoi lavoriamo tantissimo, soprattutto come post-produzione e color correction. Abbiamo aperto lo studio durante la seconda ondata di Covid, mentre eravamo in piena zona rossa e non sapevamo come sarebbe andata a finire. La questione che ci avvantaggia è che non cambiamo il modo di lavorare e chi lavora con noi percepisce la nostra dedizione. Abbiamo fatto questa scommessa sul territorio, anche se offre meno opportunità rispetto ad altre realtà.
Alcune anticipazioni sui tuoi prossimi progetti?
Ho da poco finito un film di Vito Palmieri, La Seconda Vita. Interessante perché tratta anche di giustizia riparativa e parla di come una persona che ha commesso un delitto efferato provi a ricostruirsi fuori dal carcere. Uscirà in sala a novembre anche un biopic su un famosissimo cantante italiano contemporaneo, forse il più famoso al Mondo. Infine per una nota piattaforma è in programma una serie internazionale piuttosto rivoluzionaria che farà molto molto scalpore.
Massimo Zamboni
Conclude conclude così il live: “Grazie di cuore. Questa è Piazza Maggiore e questo è un film su Berlinguer – non una cosa sulla quale si possa chiacchierare.
Non riesco a considerare questo come uno spettacolo d’intrattenimento, piuttosto è un servizio civile, una terapia di gruppo.
Quella che abbiamo visto sullo schermo è probabilmente l’Italia migliore che possiamo ricordare. In anni e giorni come questi credo sia altamente formativo. Questo è un film che ti porta a piangere non solo per la scomparsa di un uomo – per quanto grande fosse e ce lo ricordiamo – ma per la scomparsa di quell’Italia. Questo ci fa sentire perduti, ma vedere una piazza come questa da questo palco, credetemi, è veramente confortante e rinfrescante”.
“con gli sguardi non tradirti,
non volerti relegare” – M.Z.
A cura di Tiziana Elena Fresi
Ph: Cineteca di Bologna