L’Intelligenza Artificiale è considerata la Terza Rivoluzione Industriale, ma che pervasività hanno le Tecnologie Disruptive, perché creare Aree a Bassa Tecnologia e qual è lo stadio attuale delle AI? Ce ne parla Michele Di Pasquale – Creative Technologist, relatore al WE MAKE FUTURE 2023 (Fiera Internazionale e Festival sull’Innovazione Tecnologica e Digitale) e curatore del blog radiofonico UnoZero – Una chiave di lettura sulle Nuove Tecnologie, in onda su Radio Città Fujiko.
Le AI sono considerate tra le prime 3 maggiori tecnologie disruptive. Cosa si intende con questo termine?
Tecnologie che possono portare un cambiamento sociale repentino che stravolge la società producendo nuove dinamiche e mercati.
“Le AI introducono una rivoluzione assimilabile a quella Industriale, in quanto nuovo paradigma”.
Emergono dal basso movimenti low-tech volti a circoscrivere l’ingerenza di queste tecnologie, come nel caso della comunità degli scacchisti – che escludono le AI dai campionati ribadendo così la centralità delle capacità umane e della componente relazionale proprie della disciplina. Sei a conoscenza di altre tendenze di questo tipo?
Non sono a conoscenza di tematiche o interventi specifici simili, ma è logico pensare che tutto ciò che ha a che fare con contesti competitivi dovrebbe circoscrivere l’uso di questi strumenti, o il tutto sfumerebbe nel barare. Algoritmi di questo genere, applicati a fonti di calcolo di questa potenza, con un accesso al database di tutte le partite giocate da sempre riuscirebbero a fornire ogni volta la risposta più efficace rispetto al contesto.
É corretto dire che oltre che come database le AI possono fungere da generatore di nuove combinazioni ed espandere la disciplina o le aree del sapere cui vengono applicate?
Mettiamo l’esempio delle immagini e della Stable Diffusion, che è un algoritmo che ti permette di generare immagini. La macchina cosa fa? Nell’apprendimento automatico, ipotizzando di avere a disposizione un milione di visi umani, attraverso dei layer che vengono programmati per estrarre feature, la macchina impara a distinguere determinate caratteristiche, come la forma di un occhio. Se vogliamo generare un’immagine tramite AI, questa estrae dei contesti che ritrova simili, in funzione del database con immagini classificate cui attinge. Ipotizziamo di descrivere tramite testo una modella asiatica: con le caratteristiche estrapolate l’AI andrà a ricostruire le fattezze di una donna asiatica che non esiste. Lo stesso concetto, applicato agli scacchi, implica che oltre ad avere a disposizione un database, la macchina lo espande. Un giocatore di scacchi apprende una quantità di schemi storici, ma l’AI ha una velocità nell’elaborare soluzioni aggressive imparagonabili rispetto alla capacità umana.
“L’AI non riproduce il pensiero, ma cerca di desumere la semantica di quanto l’utente sta pensando e gli richiede”
Così la macchina può arrivare a fornire risposte che noi non siamo in grado di verificare o che per cultura tendiamo a non verificare – abituati come siamo ai software del passato, che fornivano risultati esatti derivanti da algoritmi con approccio matematico. Gli algoritmi delle AI sono invece statistici, quindi forniscono risultati non analiticamente corretti ma probabilisticamente corretti e non sempre le probabilità forniscono la certezza del risultato. L’AI può rivelarsi preziosissima in ambito medico; ha un’amplissima gamma dinamica di numeri e una base di dati grezzi che sorpassa la nostra capacità di predizione e di diagnosi, non solo perché possono confrontare i nuovi dati con uno storico di casi simili, ma anche perché riescono a riconoscere elementi che magari l’occhio umano del medico non è in grado di discriminare nella lastra fisica. In pratica le AI sono potenzialmente in grado di vedere una malattia che il medico nel visionare una radiografia tradizionale probabilmente non riuscirebbe ad individuare.
Nell’ambito apprendimento sembra essere accettato il ricorso alle AI. Ci sono elementi di criticità? Cosa sta accadendo nel sistema educativo statunitense?
In America i ragazzini – che sono più smart ed esposti alle novità rispetto alla media degli adulti – utilizzavano Chat GPT (Generative Pretrained Transformer, ndr.) per farsi scrivere i temi e fare i compiti. Bisogna dire che la tecnologia non cambia l’indole dell’essere umano, prima si copiava coi foglietti o ci si faceva suggerire dal compagno di banco.. Inizialmente la scuola americana, in particolare nello Stato di New York aveva bandito questi strumenti tecnologici, salvo poi riconoscere che si tratta di un processo irreversibile e dover fare dietrofront.
“Queste AI di tipo linguistico però non sono così attendibili, sono software appena nati e possono essere soggetti a buchi funzionali e fenomeni di allucinazioni”.
Se io programmo la macchina con un certo modello di addestramento, questo scatta una fotografia delle informazioni che arrivano fino a quel momento, dunque se la macchina si ferma al 2021 e gli chiedo di parlarmi del funerale di Berlusconi, la macchina non si limita a rispondere “non lo so”, ma cerca di soddisfare la mia richiesta con le informazioni che ha. Questo diventa un grosso problema nel fact checking, quando quelle informazioni non vengono verificate ma vengono assunte per buone. Se prendiamo una notizia ancora più recente e di nicchia come la scomparsa di Angus Cloud (attore della fortunata serie TV americana Euphoria, ndr.) probabilmente lo stesso Bard, pur essendo uno strumento di Google collegato a Internet, non sarebbe in grado di rispondere nel merito.
“Ci sono dei micro-training che cercano di aggiornare a cadenza i modelli di predizione, ma sono livelli imparagonabili rispetto all’aggiornamento di informazioni che ha il motore di ricerca”.
Un algoritmo legato all’indicizzazione di informazioni è aggiornato al micro-secondo e sente il dato più veritiero e attendibile, chiaramente con un criterio di ranking sulla quantità di informazioni simili che sono state immesse in rete. Un’altra AI con uno stile meno dialogico ma più aderente al reperimento di informazioni su internet – come può essere Perplexity – non risponde che l’attore è ancora vivo, ma risponde correttamente.
Si rende quindi necessaria una forma di istruzione dell’utente al fine di fare un uso corretto di ciascuno strumento e poter formulare quesiti in modo appropriato?
Non solo, ma l’uso dello strumento senza cognizione dei meccanismi alla base, quindi l’estrema semplicità del tap sullo schermo, ci fa correre il rischio di diventare acritici.
Una regolamentazione dall’alto, istituzionale, sembra essere indietro sui tempi. Puoi spiegarci in cosa consiste il recente AI ACT del Parlamento Europeo?
“L’AI ACT è la prima iniziativa a livello di stati che vuole creare una scala dei rischi legati all’utilizzo delle tecnologie disruptive e va dal poco rischioso, all’altamente rischioso, al proibito”.
Dovrebbe uscire nel 2026, salvo ulteriori necessità di ritrattarlo perché qualche nazione potrebbe mettersi di traverso su uno o l’altro aspetto e occorrerebbe prima smussare le rispettive posizioni in merito. Quando si fa normativa ci sono varie problematiche, ad esempio puoi andare a castrare eccessivamente un contesto creando un effetto boomerang. Se il Parlamento Europeo chiedesse a Microsoft, Amazon o Google una serie di info e conformità, c’è il rischio che una di queste società riconosca questi adeguamenti come pervasivi del proprio know how, delle tecnologie utilizzate e via dicendo e arrivino a un estremo nel quale dicono: “quello che rischiamo rilasciando tali informazioni è pericoloso per la protezione degli stessi dati che invece intendiamo salvaguardare” – e quindi rifiutino la richiesta privandoci del servizio, com’è avvenuto col Garante della Privacy e ChatGPT.
“questo boom tecnologico avrà una crescita asintotica e velocissima e ciò potrebbe comportare un digital divide importante, qualora non si abbiano tecnici o hardware o investimenti equiparabili, con degli scacchi matti sistemici e dei bracci di ferro che potrebbero vedere le nazioni occidentali contrapporsi a servizi d’oltreoceano, come quelli offerti dall’Asia”.
Potrebbe cambiare persino il contesto geo-politico, perché se – poniamo il caso – gli Stati Uniti bloccassero una tecnologia e l’Asia invece si conformasse, le società migrerebbero dove possono ottenere quei servizi. Il problema è molto complesso e difficile da predire, ma quanto si propone di fare l’AI ACT è stendere una sorta di principi di buon uso – e relative sanzioni – che abbia sempre al centro la tutela dell’essere umano.
Ricorda le iconiche Leggi della Robotica.
Esatto, ma le zone d’ombra per l’effettività di queste tutele sono molteplici. Pensiamo ai dati biometrici, come il riconoscimento facciale per strada: sì, è stato vietato ma con riserva, perché ci sono dei contesti nei quali il ricorso a questi mezzi è ammesso – vedi necessità particolari della Magistratura.
“Se pensiamo a come uno stato dittatoriale potrebbe facilmente abusare di questa eccezione, capiamo bene che anche un criterio di questo tipo potrebbe instaurare paradossalmente una legittimità da Grande Fratello”.
I dati sensibili, ad esempio, sono regolamentati a livello europeo dal GDPR, che è stato poi assunto a modello da altre realtà extra-europee, come il Canada.
Come avvenuto storicamente nel redigere Costituzioni che si ispiravano a carte antecedenti.
Io l’ho sempre risolta in modo provocatorio e iperbolico dicendo che fino a quando non renderemo Internet uno stato cui apparterranno con le stesse modalità tutti i cittadini del Mondo, assisteremo a un’infinità di cause legali, squilibri e contenziosi tra legislazioni diverse. Un caos da evitare”.
Nella tua bolla di addetto ai lavori, in quanto analista del settore tech, quali sono le tendenze e quali le eventuali perplessità?
Mi aspetto una rivoluzione del settore Content Creation, dall’emissione di testo alle immagini video. Considera che già io con solamente la foto di qualcuno e pochi secondi della sua voce sarei in grado di creare un deep fake nel quale simulare di fargli dire qualsiasi cosa mi venga in mente.
Ci dobbiamo preoccupare?
Sì. Senza essere ossessionati da quel terrorismo mediatico che asseconda lo stesso meccanismo del clickbait e produce quegli articoli spaventosi semplici e sensazionalistici che la gente ama. Meno le persone hanno informazioni su questi contesti, più si genera complottismo, dunque è necessaria un’informazione che sia il più possibile chiara e bilanciata, come cerco di fare nella trasmissione Uno Zero.
Che riscontro ha avuto da pubblico e colleghi?
Spesso è evidente che alcuni abbiano consultato i miei contenuti e approcciato le mie previsioni. In linea generale riscontro una reale impreparazione, anche tra personaggi mediatici che non avrebbero le competenze per fare divulgazione.
Pensi si sia attinto ai contenuti del tuo programma senza avere le basi per contestualizzarli in altre analisi e diffonderli?
Occorrerebbe mettere in mano queste cose a chi ha alla base una specializzazione associata a un’etica, come per un medico sarebbe sancita dal Giuramento di Ippocrate. Basterebbe anche solo una branca di informatici speculativi per peggiorare il Mondo anziché migliorarlo, figuriamoci se questi esponenti appartenessero ad esempio al marketing!
“Dobbiamo aspirare a una divulgazione equilibrata, perché creare una società che rifiuta in modo sterile queste cose solo per la difficoltà di comprenderle innesca meccanismi assurdi e deleterei. Oggi l’informatica è alla base di ogni cosa – direi iperbolicamente che ha sorpassato la linguistica – e non formare in questo senso già all’asilo ma adagiarsi sul tap sullo schermo, fa sì che le persone diventino più ignoranti e semplifichino le soluzioni”.
Ho costruito questo programma come previsione di cose che effettivamente stanno accadendo. C’è chi viene a informarsi o si confronta con me, ma c’è anche chi copia alla meno peggio senza capire veramente. Spesso – con le dovute valide eccezioni – persino la stampa specializzata non ha strumenti d’analisi aggiornati.
“Lo stesso Wired è diventato più che altro un prodotto pop, ma l’internazionalizzazione di per sé è un problema, perché se esce un articolo americano questo viene percepito come Bibbia e riportato senza verifiche”.
É molto positivo che tra alcuni mesi ci sarà in Italia un evento internazionale a tema tecnologia di un certo rilievo – AI Festival – e pur se un mese in questo campo equivale a 10 anni, è un buon segnale.
A cura di Tiziana Elena Fresi.