Automated Photography si inserisce nel variegato programma espositivo di Fotoindustria – VI Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro voluta da Fondazione Mast e attiva fino al 26 Novembre 2023 con 12 mostre in 11 location a Bologna. La mostra, allestita nell’ex Chiesa di San Mattia, è realizzata in collaborazione con ECAL/University of Art and Design Lausanne e si focalizza sull’automazione nella produzione di immagini rivendicando un ruolo attivo dell’artista nel rapportarsi al funzionamento e ai risvolti di questo processo irreversibile.
“La mostra Automated Photography raccoglie le prospettive di artisti contemporanei e studenti dell’ECAL, presentando una serie di progetti in cui attori umani e non umani possono partecipare alla creazione delle immagini. Dagli animali addestrati a scattare selfie ai gamers che scattano fotografie degli spazi virtuali dei videogiochi, l’esposizione indaga le meccaniche dei sistemi automatizzati ricercando strategie visive creative e critiche. Gli artisti in mostra giocano con – oppure contro – l’apparato fotografico, il suo sistema di rappresentazione e le forme algoritmiche per la creazione visiva. Spingendosi oltre i programmi prestabiliti, la mostra celebra l’emancipazione delle macchine che ci invitano a giocare, collaborare e ripensare le immagini che ci circondano” – spiegano le guide.
La Mostra
L’ingresso è libero e accoglie un pubblico edotto incuriosendo i passanti del centro cittadino. L’ex Chiesa di San Mattia è uno spazio antico e suggestivo nel quale colonne e affreschi antichi contrastano con gli allestimenti; un grande serpente metallico domina la sala, come supporto alle opere – pannelli ritraenti vecchie macchine fotografiche, videoinstallazioni nel tipico formato verticale TikTok in cui la bella protagonista mostra video-balletti malriusciti e trend del momento sui quali si abbattono varie sciagure disconoscendone l’usuale perfezione nell’estetica e nell’esecuzione. Un trittico di grandi topi.
Sul fondo della sala tre grandi schermi mandano in loop video sperimentali con variazioni sul tema dell’automazione. La disposizione è studiata per cingere il pubblico e creare scenari o momenti che lo spettatore può montare costruendo la visione in modo autonomo, passando in sequenza dall’uno all’altro riquadro. Le sagome dei nonni smaterializzati in puntini di luce, durante una cena pre-pandemica, una massa di corpi digitali colti nell’intersecarsi – o meglio passarsi attraverso in una plateale immaterialità, come se questo non significasse niente oltre il bug. Eserciti di primitives – sfere bianche, piramidi bianche su sfondo bianco, figure umanoidi come statue dal movimento fluido ripetono movimenti, esercizi di stile, una di loro sembra divergere e noi siamo indotti a credere che quella cosa abbia un valore di originalità, di volontà.
Osserviamo con non meglio precisabile disagio gli artefatti nel morphing tra il volto di un gatto e un altro gatto, tra miagolii stridenti. Deserti rossi, mari astratti, parti non debitamente programmate nei landscapes di gioco – tutti noi cresciuti coi videogames abbiamo preferito al gioco scovarli, diventava quello il gioco, un’esplorazione dell’incompleto e del fallace. Muri a metà dietro montagne cave e poi ruotando la prospettiva vedute sempre più impossibili. L’assurdità inquietantissima dell’elephant juice – ovvero quello che capiscono le intelligenze digitali quando gli parli di Amore. Quelle stesse che in un futuro molto prossimo terranno colloqui di lavoro e valuteranno ogni contrazione muscolare del nostro volto, cercando di ricondurli a emozioni suscitate da quesiti del tipo: “Lavora bene in team?” In effetti, come riportano i titoli di coda dell’opera di Simone C. Niquille, le maggiori testate mondiali hanno già prodotto articoli nei quali si elargiscono consigli su come farsi assumere dalle AI.
Il Concept
Un numero crescente di immagini viene oggi prodotto autonomamente dalle macchine per le macchine, in uno schema tecnologico che marginalizza progressivamente l’intervento umano. “Automated Photography” è una mostra basata su una ricerca di ECAL/University of Art and Design, Lausanne, che esplora l’evoluzione dell’immagine digitale e il ruolo attuale del fotografo. Questo progetto si fonda sulla premessa che l’automazione sia un processo centrale nella definizione delle pratiche fotografiche e della cultura visiva contemporanea.
La mostra si pone come obiettivo un esame critico di tre prospettive che si sono imposte negli ultimi anni: l’automazione dei sistemi di acquisizione (smartphone, satelliti, droni), la creazione di immagini senza l’utilizzo della macchina fotografica (AI, CGI, videogiochi), l’automazione della distribuzione – oltre che elaborazione – di immagini (machine learning, targeting degli utenti). Si assiste a una combinazione tra approccio pratico applicativo di queste tecnologie, un punto di vista teorico derivante dal contesto culturale, sociale, politico e non di meno un’analisi estetica dei caratteri visivi e creativi di questi dispositivi.
Oggi l’automazione e i sistemi di produzione automatizzata delle immagini dominano e ridefiniscono la fotografia, la cultura visiva e in generale modellano il mondo che vediamo e rappresentiamo. Ve ne sono evidenze in molteplici ambiti, che vanno dalla mappatura in aree di guerra alla sorveglianza all’intrattenimento, generano immagini fotorealistiche di soggetti impossibili e regolano le fotografie biometriche dei passaporti, alla localizzazione di mezzi di trasporto che abbiano commesso infrazioni.
“Questi processi autonomi mettono in discussione il concetto di autorialità e responsabilità nella creazione di immagini, sconfessano le proprietà indicali attribuite alla fotografia nella sua tradizione teorica e modificano le modalità di circolazione globale delle immagini. Se la fotografia sta diventando sempre più computazionale, interconnessa ed efficiente, i fotografi non possono fare a meno di confrontarsi con questi sistemi automatizzati. Appropriandosi dei processi di creazione digitale delle immagini e manipolandoli, gli artisti in mostra svelano i meccanismi di produzione visiva contemporanee trasformano tecnologie commerciali, talvolta persino militari, in strumenti artistici. Il fotografo diventa così un collaboratore o un interlocutore della macchina, oppure un suo antagonista, giocando con gli algoritmi e sperimentandone le potenzialità. Il software e gli algoritmi racchiusi nelle immagini digitali e negli apparati computazionali non sono codici da lasciare invisibili, ma costituiscono i nuovi strumenti del fotografo, che può servirsene non da utente passivo ma come interprete attivo”.
L’École Cantonale d’Art di Losanna (ECAL)
Una scuola di alta formazione di arte e design fondata nel 1821 e considerata una delle istituzioni educative più prestigiose del mondo in ambito artistico. Fondato su un utilizzo intensivo dell’immagine fotografica – elemento chiave nella comunicazione visiva di oggi –, il Master in fotografia offre agli studenti l’opportunità di sviluppare progetti a lungo termine. Il corso amplia i confini della ricerca applicata sulla fotografia contemporanea ponendo l’accento sulla smaterializzazione dell’immagine attraverso la manipolazione digitale, la 3D Computer Generated Imagery, la realtà virtuale e aumentata e l’intelligenza artificiale. A livello laboratoriale, prevede l’esplorazione di nuovi formati editoriali, la produzione di immagini destinate a media diversi e la progettazione di esposizioni interattive che includono anche l’immagine in movimento. Grazie a numerose collaborazioni con realtà economiche, industriali o culturali, il master permette agli studenti di confrontarsi con figure influenti della fotografia, dell’arte e delle imprese.
A cura di Tiziana Elena Fresi