Centro Diurno
Centro Diurno, il Recovery Team ristruttura una panchina: messaggio contro la violenza sulle donne. A Olbia iniziativa del Centro di Salute Mentale dedicata alla psichiatra Barbara Capovani.
E a tutte le vittime di femminicidio. Centro Diurno.Centotre donne uccise in Italia, una ogni tre giorni. In ottantadue casi si tratta di femminicidi in ambito familiare o affettivo, cinquantatre dei quali provocati da partner o ex partner.
Numeri che stanno causando una ferita profonda nella società civile, mentre è ancora viva in tutto il Paese la commozione per l’omicidio di Giulia Cecchettin.
Dal Centro Diurno di Olbia è partito questa mattina un messaggio di grande sensibilità da parte di chi, attraverso forme di sostegno e dialogo, sta riuscendo a costruire un nuovo percorso di vita.
I membri del gruppo Recovery Team, nell’ambito di un progetto realizzato nel Centro Diurno grazie al lavoro d’equipe svolto dagli operatori del Centro di Salute Mentale.
Hanno ristrutturato una panchina installata nell’area esterna della sede di via Baronia.
Sopra c’è una targa: riporta il nome di Barbara Capovani, psichiatra di Pisa uccisa ad aprile, alla quale era stata dedicata nei mesi scorsi anche una fiaccolata davanti all’ospedale di Olbia.
Un omaggio a lei e a tutte le donne vittime di violenza in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Inoltre, sempre nell’ambito dell’iniziativa promossa dal Csm, il sistema di illuminazione della sopraelevata di Olbia, sul lungomare, si è colorato di rosso, simbolo del contrasto alla violenza di genere.
E lo sarà sino a domenica.
La presentazione si è tenuta questa mattina:
I promotori hanno illustrato il progetto alla presenza del Direttore sanitario della Asl Gallura, Raffaele De Fazio, il quale ha ringraziato gli operatori del Centro di Salute Mentale di Olbia.
«per aver pensato a un evento che oggi ha un significato ancora maggiore, perché è necessario far crescere la sensibilità sul tema della violenza di genere, sentito e prioritario in tutto il Paese».
Presente anche il Luogotenente della Stazione di Olbia Centro, Leonardo Riu, e i rappresentanti delle associazioni Prospettiva Donna, Avo e Croce Rossa.
«Il Csm – ha ricordato la dottoressa Luisa Budroni, Direttrice della struttura – è uno spazio sempre aperto alle istituzioni, alle associazioni e ai cittadini.
La Salute Mentale non è un tabù e le famiglie devono sapere che possono fare affidamento su noi».
«Il messaggio che oggi stiamo lanciando parte dall’esigenza di un gruppo di utenti che, a seguito di un percorso riabilitativo individualizzato.
Ha scoperto come nel gruppo, al di là del sintomo, erano presenti competenze che potevano essere riattivate e orientate in funzione dell’altro.
Uno di questi step – ha spiegato la dottoressa Magda Mameli, Responsabile del progetto e Terapista della Riabilitazione Psichiatrica del Csm
– prevedeva il restauro di una panchina, simbolo della violenza contro le donne.
Questo atto di vicinanza e di sensibilità su temi non strettamente riguardanti i partecipanti è frutto di un percorso Recovery oriented.
In cui il paziente sposta il focus dalla malattia alla riattivazione delle proprie risorse in funzione dell’altro, lavorando sulle strategie di coping e di empowerment.
Dalle risorse dei singoli membri del gruppo si riesce a riattivare la sfera delle relazioni interpersonali, mettendo in comunione le proprie competenze.
Così come è successo qualche mese fa con un’altra tappa del progetto che ha permesso al gruppo di unirsi, collaborare.
E lavorare insieme per un obiettivo, che in quel caso era la realizzazione di una radio artigianale costruita all’interno di vecchie cassette di vino».
Michelangela Sanna, psichiatra del Centro di Salute Mentale, ha letto in chiusura un testo dedicato a Barbara Capovani.
Un contenuto che circola sul web, una narrazione carica di emozioni in cui la vittima viene “raffigurata” come se raccontasse in prima persona i suoi ultimi istanti di vita e i momenti subito successivi.
Eccone uno stralcio: “È finita. Mi chiamo Barbara Capovani, sono un medico, e quell’uomo vestito in nero mi ha fatto male, per sempre.
Che strana la vita, quanto ancora avevo da dare e da ricevere. Finisce adesso, in questo modo, non me lo aspettavo di certo, non so nemmeno il perché.
E non so se servirà di lezione perché non succeda più”.