Nomenclatore tariffario: da gennaio diagnosi genetica più difficile. In molte regioni torneranno a pagare le famiglie. L’allarme della società italiana di genetica umana (Sigu)
Zuccarello (Sigu): “Diagnosi più difficili e lente, e aumenteranno ancora le disparità tra regioni”. Ciancaleoni (OMAR): “La somma dei ritardi nell’approvare il tariffario e nell’applicazione del Testo Unico Malattie Rare sarà pagata da chi ha malattie genetiche e rare”Milano, 8 novembre 2023. Dal 1° gennaio 2024 entra in vigore il nuovo nomenclatore tariffario della specialistica ambulatoriale, che finalmente recepisce le modifiche introdotte dai LEA 2017. Doveva essere un miglioramento, ma l’aver elencato delle prestazioni vecchie, invece, lega le mani al progresso scientifico e rischia di aumentare le disparità tra regioni, alcune delle quali porranno diverse indagini genetiche a carico dei pazienti e delle famiglie. L’allarme è stato lanciato dalla SIGU – Società Italiana di Genetica Umana, in una intervista rilasciata all’Osservatorio Malattie Rare.
“Il tariffario è stato aggiornato, peccato però che molte prestazioni relative alla genetica, oggi essenziali per fornire una risposta diagnostica tempestiva e certa ai pazienti con patologie rare senza diagnosi, non sia siano state inserite, e ciò significa che il SSN non le fornirà gratuitamente – spiega la genetista Dr.ssa Daniela Zuccarello, rappresentante della SIGU e dirigente medico presso l’Unità Operativa di genetica Clinica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova – In pratica, non potremo eseguire indagini genetiche mirate in tutte quelle situazioni in cui non si può porre il sospetto diagnostico legato ad una malattia rara esente.” Ad oggi non tutte le malattie rare hanno un codice di esenzione, pur avendo un codice internazionale Orphacode, e le indagini per ricercarle non saranno coperte dai Lea. Così come non saranno coperte dal Servizio Sanitario Nazionale tutte quelle indagini volte ad individuare le cause delle ‘malattie rare e genetiche senza diagnosi’ – i casi più complessi – perché, nonostante le richieste fatte, a questo gruppo di malattie non è mai stato dato un codice. Ricordiamo che i malati rari senza diagnosi sono, secondo le stime più recenti, 350 milioni nel mondo. In Italia almeno 100.000, ma sicuramente molti di più.
“Per citare l’esempio più palese – spiega la dottoressa Zuccarello – non sono compresi i test necessari in quei casi in cui i bambini presentano ritardi cognitivi non sindromici, o quadri assimilabili allo spettro autistico, che oggi sappiamo essere un cappello generico all’interno del quale restano ‘nascoste’ una lunga serie di patologie rare genetiche. Per altre condizioni, invece, per alcune delle quali si è vicini a terapie che potrebbero cambiare significativamente la qualità di vita dei pazienti, sarà possibile solo un’analisi ridotta a pochi geni, poiché l’elenco dei geni analizzabili per ogni specifica condizione risale al 2016”.
“Il problema nasce dai tempi lunghissimi trascorsi tra la definizione del nomenclatore LEA, che si è svolta nel 2014-2026, con il coinvolgimento degli stakeholder istituzionali e delle società scientifiche del settore, inclusa la SIGU, e l’entrata in vigore, che sarà a gennaio 2024, 10 anni dopo – spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare – L’evoluzione tumultuosa della genetica ha reso rapidamente obsoleto il sistema diagnostico che poteva andar bene 10 anni fa. A questo si aggiunge il problema mai superato dei codici di esenzione per malattia rara che non viene aggiornato dal 2017 e la mancata applicazione di quanto previsto dal Testo Unico Malattie Rare, che aveva giustamente indicato la necessità di trasferire nel nostro sistema di esenzioni gli Orphacode, gli unici che garantirebbero di non lasciar fuori alcuna patologia nota: un combinato di ritardi che a gennaio esploderà sulle famiglie in cerca di diagnosi e sulle coppie a rischio che cercano o attendono un bambino”. Gli effetti negativi di questo si vedranno, infatti, soprattutto in quattro ambiti: la diagnosi delle malattie rare e genetiche, soprattutto nei casi in cui servirebbe il sequenziamento dell’esoma, le indagini genetiche volte a identificare malattie che non hanno codice di esenzione o per le quali non si riesce a porre un chiaro sospetto diagnostico, il test prenatale non invasivo (NIPT) e la diagnosi preimpianto. Di seguito cerchiamo di chiarire nel dettaglio cosa accadrà.
IL SEQUENZIAMENTO DELL’ESOMA A CARICO DELLE FAMIGLIE Dal 1° gennaio 2024 moltissime prestazioni di genetica finora eseguite non saranno più garantite: le regioni che possono disporre di fondi ad hoc potranno continuare ad erogare tutte le prestazioni gratuitamente ma a carico del bilancio regionale (extra LEA), altre proporranno la compartecipazione di spesa (mediante specifico ticket dal costo differenziato), altre ancora saranno costrette a proporre ai pazienti di sostenere per intero il costo della prestazione. “Parliamo di più di 2.000 euro per il sequenziamento dell’esoma in trio– spiega Zuccarello – che è la metodica che oggi ci permette di indagare contemporaneamente su migliaia di geni, andando a mettere in luce tutte le potenziali anomalie genetiche, per poter dare risposte a pazienti e famiglie che si trovano ad affrontare gravi patologie debilitanti, molte ancora senza una diagnosi molecolare precisa, senza avere la possibilità di sapere cosa li aspetta per il futuro.”
IL CODICE R99 NON POTRÀ PIÙ ESSERE USATO PER LA DIAGNOSI GENETICA DI MALATTIE RARE SENZA CODICE DI ESENZIONE Il sequenziamento dell’esoma non è l’unica prestazione che rimane esclusa dal tariffario, purtroppo. Come sottolinea la SIGU i problemi sono diversi. “Per prima cosa è giusto far sapere che non sarà più possibile utilizzare il codice R99, attualmente usato per esentare le prestazioni diagnostiche in caso di sospetta malattia rara. Infatti, per prescrivere l’analisi genetica di una malattia rara sarà necessario identificarla nell’elenco contenuto nell’allegato 4 (codici P) ed utilizzare lo specifico codice di prestazione, che corrisponde all’elenco dei codici R dell’allegato 7 (l’elenco delle malattie rare esenti). Se la malattia non è compresa nell’elenco, non sarà possibile emettere impegnativa per eseguire l’analisi. Questo, in generale, limiterà fortemente il ricorso alla diagnosi genetica, ma purtroppo la clinica spesso non è in grado di classificare e diagnosticare correttamente la malattia, soprattutto in caso di sintomatologie aspecifiche”.
DIAGNOSI PRENATALE NON INVASIVA E DIAGNOSI PREIMPIANTO NON PREVISTE Un altro problema importante è relativo al NIPT, il test prenatale non invasivo, un test estremamente utile ad evidenziare le anomalie cromosomiche fetali più frequenti, che viene oggi considerato un valido mezzo di screening in gestanti senza rischio specifico di patologie genetiche. “Il NIPT non è stato inserito nei LEA che entreranno in vigore dal 2024 – prosegue Zuccarello – e questo è il primo problema. Nonostante ciò, sempre più donne scelgono di effettuarlo, pagandolo di tasca propria in regime privatistico. Inoltre, i test NIPT offerti sul mercato sono sempre più estesi, cioè indagano la possibilità di presenza di un numero molto alto di patologie, comprese le microdelezioni. Dobbiamo però ricordare che il NIPT è un test di screening, non diagnostico. Nel caso risulti positivo, è necessario procedere con accertamenti diagnostici invasivi.
Ma nel tariffario purtroppo è stata inserita solo la diagnosi prenatale invasiva tramite cariotipo standard, che non può mettere in evidenza le microdelezioni, che andrebbero invece indagate tramite CGH-array. In questi casi, la gestante dovrà farsi carico di questa prestazione aggiuntiva (costo medio di 800 euro)”. Continua a mancare il codice per la diagnosi preimpianto per le patologie monogeniche (PGT-M) e le alterazioni cromosomiche strutturali e numeriche (PGT-SR). “Un totale controsenso: la PMA è garantita dai LEA, ma l’indagine genetica per non trasferire gli embrioni portatori di patologie genetiche su coppie a rischio non lo è. È evidente che questo costringe le coppie a rischio di malattia genetica a rivolgersi ai centri privati, se i centri pubblici non possono offrire loro la possibilità di evitare un aborto terapeutico”.
Con costi che si aggirano sui cinquemila euro per la sola prestazione di diagnosi preimpianto, alla quale bisogna sommare il costo dell’intera procedura di PMA. “Proseguiamo con le anomalie: – continua Zuccarello – è scomparsa dal tariffario la voce relativa all’estrazione degli acidi nucleici, conservazione di una aliquota e spedizione ad altro laboratorio, che consentiva di ottenere e conservare un’aliquota di DNA del paziente per l’esecuzione di analisi successive. Ciò significa che i pazienti dovranno recarsi necessariamente di persona al centro di Genetica medica che esegue l’analisi, anche per il solo prelievo di sangue, mentre sarà impossibile per i centri periferici raccogliere il campione e spedirlo ai centri di riferimento.”