Svimez: salari, lavoro povero e emigrazioni giovanili le questioni più urgenti. Pil 2023: +0,2 Sardegna, +0,7 italia, + 0,8 centro-nord, +0,4 mezzogiorno. Pil 2024: nord e sud allineati, con Sardegna a +0,5, ma crescita vincolata all’attuazione del Pnrr. Comuni in ritardo con l’attuazione: in Sardegna a gara solo un terzo delle risorse aggiudicate. Per crescere servono politiche industriali, ridurre il divario di genere e aumentare i laureati
L’economia e la società della Sardegna nel Rapporto Svimez 2023
Nel post-Covid la Sardegna aggancia la ripresa ma senza industria
La dinamica del PIL italiano nel biennio 2021-22 si è mostrata uniforme su base territoriale. L’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Dopo la flessione del 2020 (–9,4), anche la crescita cumulata 2021-22 della Sardegna si è attestata al 10,6%, leggermente inferiore rispetto al Centro-Nord (+11%).
Fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio, i servizi hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. In Sardegna, il contributo dei servizi alla crescita ha raggiunto il 78,5%, mentre quello delle costruzioni è arrivato al 15,2% (contro l’11,9% del Centro-Nord) grazie all’impatto espansivo del Superbonus 110%.
Viceversa, il contributo dell’industria è stato particolarmente limitato in Sardegna: 6,3% rispetto a una media nazionale del 21,3%.
Doppio al Sud l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie, quasi triplo in Sardegna
L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso principalmente il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione.
Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. In Sardegna, nel 2022 l’inflazione ha eroso 3,4 punti del reddito disponibile delle famiglie, una perdita maggiore del dato medio Sud (–2,9 punti) e quasi tripla rispetto al Centro-Nord (– 1,2%).
La crescita dell’occupazione non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale quando il lavoro è precario e mal retribuito
In media, nei primi due trimestri 2021 e 2023, la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +383 mila occupati nel Mezzogiorno (+6,5%), +862 mila nel Centro-Nord (+5,3%). In Sardegna, la dinamica occupazionale positiva è stata più contenuta: +16 mila occupati rispetto al 2021 (+2,9%) con una perdita netta di 4 mila posti di lavoro nel settore del turismo (alloggio e ristorazione). Il settore turistico fatica a tornare ai livelli pre-Covid, con un numero di presenze turistiche nel 2022 di 3 punti inferiore al picco registrato nel 2019 (15,1 mln di turisti). In aumento la spesa turistica per un totale di 1,7 mld nel 2022 (+20% rispetto al 2019).
Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile (+7,7% di contratti a tempo indeterminato in Sardegna (+8,7 nel Mezzogiorno e +5,2 nel Centro-Nord), ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro sardo si attesta su livelli allarmanti. Come nel resto del Sud, quasi quattro lavoratori sardi su dieci (21,5%) hanno un’occupazione a termine, contro il 14,7% nel Centro-Nord. Nel 2022, il 68,4% dei rapporti di lavoro part time in Sardegna sono involontari, contro il 56,2% della media nazionale. In Sardegna, il 10,7% dei lavoratori dipendenti riceve una bassa retribuzione: +2,3 punti rispetto al dato del Centro-Nord.
L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Tra il 2021 e il 2022, la percentuale di individui a rischio povertà residenti in Sardegna è aumentata di 3 punti percentuali, raggiungendo il 30,8% (484 mila persone). Salgono a 176 mila (+1,5 punti rispetto al 2019) i sardi (18-64 anni) con una bassa intensità lavorativa, una quota pari al 20,1% (9,8% il dato nazionale).
Nel 2023 Pil della Sardegna a +0,2%, Italia a +0,7% con +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord.
La crescita del PIL italiano è stimata dalla SVIMEZ a +0,7% nel 2023: +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord e +0,2% in Sardegna. La bassa crescita in Sardegna è imputabile al più pronunciato calo dei consumi delle famiglie rispetto a quanto dovrebbe osservarsi nel resto del Paese. Dinamica sfavorevole causata da una contrazione del reddito disponibile delle famiglie particolarmente marcata in regione, come già osservato nel 2022.
Investimenti in frenata sia per l’indebolimento dell’effetto Superbonus sia per lo slittamento temporale degli interventi del PNRR che, viceversa, dovrebbe contribuire a portare in positivo la crescita del PIL nel 2024.
Anche in Sardegna la crescita del 2024 è vincolata all’attuazione del PNRR
Le previsioni SVIMEZ indicano una crescita del PIL in Sardegna dello 0,5%, leggermente al di sotto della media nazionale (+0,7%) e del Mezzogiorno (+0,6%). A rilento, in Sardegna, la crescita dei consumi privati per effetto del recupero, ancora parziale, del reddito disponibile reso possibile dal rientro dell’inflazione. Gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata, accelerando rispetto al 2023 soprattutto grazie effetti espansivi degli interventi finanziati dal PNRR.
Il PNRR dei Comuni: in Sardegna debole la progettualità, ma più rapidi gli affidamenti
Il contributo del PNRR alla crescita del 2024 dipenderà dalla sua pronta ed efficace attuazione. Sulla base dei dati dei progetti complessivi del sistema Regis (il sistema unico di rendicontazione del PNRR), la SVIMEZ ha monitorato lo stato di attuazione degli interventi che vedono i Comuni come soggetti attuatori. Gli esiti del monitoraggio della SVIMEZ confermano le criticità già evidenziate dall’Associazione in merito ai limiti di capacità amministrative e progettuali degli enti locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne organici e competenze.
Su un totale nazionale di 32,1 miliardi di euro, il valore complessivo dei progetti dei Comuni sardi ammonta a 1,05 miliardi.
La quota di progetti messi a bando dagli enti locali della Sardegna, tuttavia, si ferma al 29,3% (31% nel Mezzogiorno e 60% nel Centro-Nord).
Dei bandi pubblicati dai Comuni sardi, l’87% risultano affidati, una percentuale ben superiore alla media Sud (60,7%) e allineata ai valori del Centro-Nord (91%).
L’INCLUSIONE FA CRESCERE: I FATTORI DI ROTTURA
Il Gelo demografico nazionale e lo spopolamento della Sardegna
La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Se da un lato, le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nelle regioni settentrionali “ringiovanendo” una popolazione sempre più anziana; dall’altro, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati. Anche la Sardegna è interessata da queste sfavorevoli dinamiche.
Dal 2002 al 2021, hanno lasciato la Sardegna oltre 159mila persone. Al netto dei rientri, la Sardegna ha perso 81 mila residenti. Le migrazioni hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 l’isola ha subìto un deflusso netto di 34.745 under 35, 1 su 3 laureato.
Al 2080 si stima una perdita di circa la metà degli attuali residenti in Sardegna: da 1,5 milioni a 851 mila. Di queste, circa due terzi farebbe parte della popolazione non età da lavoro (0–14 anni e over 64): vale a dire che in media lavorerà un solo occupato per due residenti in età non attiva.
Donne e lavoro: riattivare il circolo virtuoso tra natalità, welfare e occupazione
Per invertire la tendenza pluridecennale del calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare.
Riattivare il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico. La Sardegna presenta un tasso di occupazione femminile (15-64 anni) pari al 47%, sensibilmente inferiore alla media europea (72,5%). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente per la prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. In Sardegna, il tasso di occupazione delle donne con figli di età compresa tra i 0 e i 5 anni è di 25 punti inferiore a quello delle donne single (50,4%).
La Sardegna è la regione del Mezzogiorno meno distante dal target del 33% di posti nido autorizzati (pubblici e privati) per 100 bambini tra 0-2 anni da raggiungere entro il 2027: 26,3%.
In quo ambito, gli investimenti del PNRR non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento. Le risorse sono state allocate con procedure a bando e la capacità di risposta degli enti locali è risultata fortemente influenzata dalle capacità amministrative, differenziate su base territoriale. I dati presentati nel Rapporto SVIMEZ 2023 sullo stato di attuazione del Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità sotto questo profilo. Ai Comuni sono stati assegnati 3,4 Miliardi di cui 100 milioni in Sardegna. Dalla simulazione della SVIMEZ risulta che, se si superassero tutte le difficoltà attuative, l’attuale ripartizione delle risorse consentirebbe alla Sardegna di raggiungerebbe il target europeo del 33%.
Dai dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica del Ministero dell’Istruzione e del Merito relativi all’anno scolastico 2021-2022, emerge che solo il 38,9% degli allievi della primaria in Sardegna frequenta una scuola dotata di una mensa. Le percentuali più basse si registrano a Cagliari (26,4%) e Oristano (25,2%). Anche per i cicli superiori, la dotazione infrastrutturale delle scuole sarde è insoddisfacente: nel Sud Sardegna solo il 4,4% degli studenti frequentano scuole con doppia certificazione (antincendio/agibilità) mentre Cagliari, che presenta la percentuale più elevata tra le province sarde, si ferma al 12%. Questi tipi di gap generano effetti negativi diretti sulla performance degli studenti e indiretti sulle famiglie e sul mercato del lavoro: in Sardegna la dispersione scolastica si attesta al 13,1%, nelle aree del Centro-Nord è inferiore al 9%.
Il premio per l’istruzione avanzata
L’Italia presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. In Sardegna, questa percentuale si riduce al 26,8%.
A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). In Sardegna, il differenziale è di 19 punti percentuali (61,6% contro 42,4%), mentre nel Mezzogiorno e Centro-Nord è rispettivamente di 15 (37,7% contro 52,8%) e 13 punti (74,1% contro 61%).
Il premio per l’istruzione si riflette anche nelle retribuzioni. Al Sud, un laureato guadagna mediamente il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%.
La SVIMEZ individua nella promozione di politiche che favoriscano la convergenza dei tassi di istruzione terziaria del Mezzogiorno verso gli standard europei una condizione necessaria per valorizzare le opportunità occupazionali e reddituali delle nuove generazioni.
L’INCLUSIONE FA CRESCERE: LE POLITICHE
Sardegna, cambiamento climatico e transizione energetica
Il Mezzogiorno è più esposto ai rischi e ai costi del cambiamento climatico, impattando in maniera rilevante su settori strategici come Energia, Turismo, Assicurazioni, Immobiliare e Trasporti.
Nel caso della Sardegna, in particolare, le stesse politiche di mitigazione comportano sfide rilevanti, specie nel comparto energetico. La regione ha caratteristiche geografiche, economiche e demografiche che la differenziano dalle altre regioni italiane. L’insularità ha limitato lo sviluppo delle infrastrutture energetiche, escludendola dal processo nazionale di metanizzazione. Di conseguenza, una quota significativa (33%) dell’energia elettrica sarda è ancora oggi generata da due centrali a carbone in regime di essenzialità (Fiumesanto e Portovesme). Il phase-out dal carbone rappresenta al contempo una necessità irrimandabile e una sfida dal punto di vista occupazionale e sociale, data la rilevanza del comparto in termini di addetti e valore aggiunto.
Da un lato, risulta essenziale accelerare la transizione nel comparto energetico per centrare il target regionale in termini di emissioni di CO2 (-50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030), poiché il settore Produzione di energia e trasformazione di combustibili risulta il comparto più inquinante con il 66% delle emissioni complessive (considerando i diversi tipi di inquinanti), seguito da Trasporto su strada (15%) e Agricoltura (14%).
D’altra parte, è fondamentale governare le ricadute sociali e occupazionali del phase-out, generando buona occupazione, in particolare nel comparto delle rinnovabili, e assicurando che i lavoratori dei settori inquinanti abbiano accesso alla formazione e alle nuove opportunità dei settori in ascesa. Se le risorse naturali abbondanti favoriscono la costruzione di impianti capaci di produrre grandi quantità di energia, la rilevanza di settori come commercio, turismo, agricoltura e pubblica amministrazione (il 60% del valore aggiunto regionale), rende la Sardegna un contesto particolarmente idoneo all’elettrificazione rinnovabile.
Non a caso, già nel 2020, la quota di rinnovabili sul consumo finale lordo di energia in Sardegna (25%) era superiore alla media nazionale e molto al di sopra degli obiettivi regionali prefissati (pari al 17.8%). L’accelerazione delle rinnovabili degli ultimi anni ha visto alcune regioni del Sud (Sicilia, Puglia e Campania) registrare una crescita sopra la media nazionale della capacità installata rinnovabile. Nel 2022, la stessa Sardegna ha fatto registrare un aumento della capacità solare installata pari al +14%, molto al di sopra della media nazionale.
Ulteriore impulso alla filiera rinnovabile sarà infine garantito dalla realizzazione del Tyrrhenian Link (operativo dal 2028), il nuovo elettrodotto che collegherà Sardegna Sicilia e Campania, connettendo le Isole alla rete elettrica nazionale. Questa infrastruttura da 3,7 miliardi (di cui 1,9 forniti dalla BEI) non solo è strategica per l’intero sistema elettrico italiano, consentendo un significativo miglioramento in termini di capacità di scambio elettrico tra le regioni coinvolte, ma costituisce un ulteriore fattore di rilancio dello sviluppo rinnovabile, con un impatto stimato in termini di capacità installata addizionale (4 o 5 GW) e occupazione (tra i 10mila e i 15mila posti di lavoro), che potrebbe compensare la chiusura degli impianti a carbone.
Allo stesso tempo è bene evidenziare che gli investimenti nella rete non sono sufficienti. Questi progressi nascondono infatti la sotto-dotazione manifatturiera europea e la dipendenza strategica dalle importazioni asiatiche nel comparto delle tecnologie verdi (pannelli, turbine e biocarburanti), che nel 2022 sono raddoppiate (+104%) a 22 miliardi a livello europeo. Occorre superare l’idea del Mezzogiorno come mero hub energetico europeo e della Sardegna come mera fornitrice di energia rinnovabile, entrambe in contraddizione con il nuovo approccio europeo alle politiche industriali. Proprio nel comparto delle rinnovabili, il Mezzogiorno e soprattutto la Sardegna hanno un potenziale enorme in termini di sviluppo industriale e devono ambire a diventare uno snodo produttivo essenziale rispetto agli obiettivi di autonomia strategica ed energetica europea.
La Zona Economica Sud (ZES)
Nel contesto della Zona Economica Sud (ZES) Unica, si anticipa la sostituzione delle attuali otto ZES dal 1° gennaio 2024. L’obiettivo è estendere benefici fiscali e semplificazioni burocratiche a tutto il Mezzogiorno come forma di fiscalità compensativa. Tuttavia, il successo della ZES Unica dipende dalla semplificazione amministrativa, dalla capacità di integrarla nelle politiche nazionali e regionali, e dall’identificazione di settori prioritari.
La ZES Unica presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese.
Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della ZES Unica: il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario, cioè della Struttura di missione nazionale di svolgere per l’intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che si prevedono, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le Amministrazioni locali. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale dovendo, quindi, valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l’individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l’attrazione dei
grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. Senza tralasciare la realizzazione di legami funzionali e strategici con le principali infrastrutture, specialmente portuali, del Mezzogiorno.
Variazioni % del PIL 2023 e 2024
Regioni e ripartizioni | 2023 | 2024 |
Emilia Romagna | 1,0 | 1,1 |
Friuli V.G. | 0,6 | 0,4 |
Lazio | 0,7 | 0,5 |
Liguria | 0,4 | 0,3 |
Lombardia | 1,1 | 1,0 |
Marche | 0,6 | 0,4 |
Piemonte | 0,7 | 0,5 |
Trentino A.A. | 0,6 | 0,8 |
Toscana | 0,8 | 0,6 |
Umbria | 0,5 | 0,3 |
Val d’Aosta | 0,6 | 0,2 |
Veneto | 0,7 | 0,8 |
Abruzzo | 0,7 | 0,9 |
Basilicata | 0,5 | 0,4 |
Calabria | 0,2 | 0,3 |
Campania | 0,6 | 0,7 |
Molise | 0,3 | 0,6 |
Puglia | 0,3 | 0,6 |
Sardegna | 0,2 | 0,5 |
Sicilia | 0,4 | 0,4 |
Mezzogiorno | 0,4 | 0,6 |
Centro-Nord | 0,8 | 0,7 |
Nord-Ovest | 0,9 | 0,8 |
Nord-Est | 0,8 | 0,9 |
Centro | 0,7 | 0,5 |
Italia | 0,7 | 0,7 |
Fonte: SVIMEZ, modello NMods