Iniziativa dell’Associazione Lotta al Tumore ovarico (ALTo) per puntare i riflettori sulla diagnosi e sul trattamento della malattia
Sassari, 16 dicembre 2023. Ogni anno, in Italia, circa 5.300 donne si
ammalano di tumore ovarico e 3.300 muoiono a causa di questa patologia.
I fondi per la ricerca non bastano. Per questo è necessario investire
nello sviluppo di farmaci per curare le recidive, che si presentano
addirittura nell’80 per cento dei casi. È quanto emerso oggi al
convegno dal titolo “Il sogno di Irene vive in ALTo”, una tavola
rotonda organizzata dall’associazione ALTo (Associazione Lotta al
Tumore ovarico) per puntare i riflettori sulla diagnosi e sul
trattamento di questa patologia discriminata, poco conosciuta, che
ancora oggi, a fronte di cure limitate, ha un altissimo tasso di
letalità. Al convegno, che si è svolto nei locali del circolo
“Diavoli rossi” della caserma “La Marmora”, sede del Comando
della Brigata “Sassari”, hanno partecipato professionisti del
settore che lavorano nei più importanti istituti di cura e ricerca
d’Italia. Presenti in sala numerosi ospiti tra i quali il prefetto di
Sassari Grazia La Fauci, il presidente del Consiglio regionale della
Sardegna Michele Pais, l’assessore regionale dell’igiene e sanità e
dell’assistenza sociale Carlo Doria, il rettore dell’università di
Sassari Gavino Mariotti e, in videocollegamento, numerosi studenti della
facoltà di Medicina e chirurgia dell’ateneo turritano. Ad aprire i
lavori è stato il comandante della Brigata “Sassari”, il generale
Stefano Messina, convinto sostenitore dell’iniziativa e della
necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica su una tematica di
estrema attualità. _“Occorre puntare sulla prevenzione primaria,
ovvero sulla diagnosi precoce, e sulla terapia”_, ha esordito il
generale Messina. _“Ma questo non basta. Dobbiamo anche accompagnare
le donne colpite da questa terribile patologia nel lungo percorso
terapeutico, aiutare e sostenere la ricerca per cercare di sconfiggere
una malattia insidiosa e aggressiva. E’ una battaglia che può e che
deve essere vinta, per la salute delle pazienti, per il miglioramento
della possibilità di sopravvivenza e la qualità della vita”_. A
seguire ha preso la parola la presidente dell’associazione ALTo, Maria
Teresa Cafasso, la quale ha sottolineato che _“una donna che si ammala
di cancro ovarico è anche una figlia, una mamma, una sorella, una
moglie e troppe famiglie si ritrovano a dover fare a meno di loro a
causa di una patologia che lascia pochissime speranze di sopravvivenza.
È necessario implementare la ricerca mirata affinché sempre più donne
malate possano finalmente avere un’aspettativa di guarigione”_. Il
convegno, moderato dal giornalista Ivan Paone, è entrato nel vivo con
gli interventi dei relatori che hanno affrontato tutti gli aspetti della
malattia: dalla diagnosi alla chirurgia, passando per le attuali terapie
e le esigenze relative a prevenzione e cure. Durante la tavola rotonda
hanno preso la parola, nell’ordine, il dottor Luigi Carlo Turco
(direttore dell’Ovarian Cancer Center presso l’Istituto di Ricovero
e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di Candiolo), il dottor Ugo
Cavallaro (direttore dell’Unità di ricerca in Oncologia ginecologica
presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano), la dottoressa
Laura Franco (biotecnologa, medico chirurgo e ginecologa in formazione
presso l’Azienda Ospedaliera del Policlinico universitario “Federico
II” di Napoli), il dottor Marco Petrillo (dirigente medico
dell’Unità operativa di Ostetricia e ginecologia oncologica presso
l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari), la dottoressa Maria
Vittoria Carbone (dirigente medico presso l’Unità operativa di
Ginecologia oncologica del Policlinico universitario “Agostino
Gemelli” di Roma), il dottor Francesco Multinu (dirigente medico
presso il Gynecologic Cancer Surgery dell’Istituto Europeo di
Oncologia (IEO) di Milano) e il professor Giovanni Scambia (direttore
scientifico e presidente del comitato esecutivo della Fondazione
policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma e presidente
della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia). Gli esperti sono
concordi sul fatto che l’unica prevenzione possibile riguarda le donne
che presentano una mutazione dei geni BRCA, più famosa come mutazione
Jolie, dal nome dell’attrice che l’ha resa celebre: in base all’età
e alle esigenze di maternità, le donne che presentano questa mutazione
possono sottoporsi a un intervento preventivo con asportazione di tube e
ovaie. La ricerca ha fatto enormi passi in avanti, offrendo valide
opzioni terapeutiche anche in tumori diagnosticati in stadio avanzato,
permettendo ai pazienti di cronicizzare realmente la malattia e, in
alcuni casi, arrivare addirittura alla guarigione. Ma non basta,
perché, nella maggior parte dei casi, la prognosi resta ancora
infausta. La maggioranza delle pazienti, inizialmente, ottiene una
remissione dalla malattia dopo un intervento chirurgico, quando
possibile, e sei cicli di chemioterapia. Ma oltre l’80 per cento delle
donne andrà incontro ad una o più recidive, ad oggi inguaribili. La
sopravvivenza a cinque anni si attesta ancora oggi intorno al 40% per
scendere al 15% a dieci anni. Ecco perché è urgente avere nuovi
farmaci mirati efficaci per curare le recidive e allungare la
sopravvivenza: terapie approvate, e quindi disponibili per tutte le
donne, per poter salvare migliaia di vite. Le conclusioni della tavola
rotonda sono state affidate a Giuseppe Ruiu, promotore dell’iniziativa
e marito di Irene, da cui il dibattito prende il nome, scomparsa il 1°
agosto 2023 all’età di 47 anni.