Quando si parla di riciclaggio di denaro si fa riferimento a un processo mediante il quale si vuol nascondere l’origine dei profitti che derivano da attività criminose. In parole povere, i proventi in questione vengono puliti, ovvero riciclati, con mezzi legittimi e, conseguentemente, perdono la loro identità criminale. Lo scopo, chiaramente, è quello di far apparire i proventi delittuosi come pienamente legittimi.
Chi pone in essere una condotta del genere realizza un reato punito nel nostro ordinamento dall’art. 648 bis del Codice penale. Per avere maggiori informazioni e dettagli in ordine alle conseguenze derivanti dal riciclaggio del denaro e per conoscere la normativa attualmente in vigore, è consigliabile rivolgersi ad un avvocato antiriciclaggio. Vediamo però ora di descrivere brevemente di cosa si tratta.
Il reato di riciclaggio e le figure affini
Il reato di riciclaggio, come anticipato, è disciplinato dall’art. 648 bis c.p., norma che incrimina “chiunque, fuori dal caso di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Diverso, seppur molto simile, è quello previsto dall’art. 648 ter c.p. ovvero l’impiego di denaro, beni o altra utilità di provenienza illecita. Essa, infatti, punisce la “condotta di chi avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
I due reati, seppur simili, sono diversi perché nel caso del riciclaggio, la pena viene applicata per sanzionare chi occulta la provenienza delittuosa dei beni, nell’impiego, invece, è punita la condotta di chi utilizza i profitti illeciti nel mercato al fine di fare attività d’impresa.
Cosa prevede la legge?
La materia dell’antiriciclaggio è stata attenzionata per la prima volta a livello europeo nei primi anni ‘90 per prevenire l’uso improprio del sistema finanziario a scopo di riciclaggio del denaro sporco. La normativa attualmente in essere stabilisce che le imprese verso cui si applica la legge antiriciclaggio sono tenute a:
- Adottare la gestione del rischio e implementare le misure interne di gestione del rischio;
- Ottenere informazioni dettagliate sullo scopo e sul tipo di relazione d’affari con i clienti;
- Applicare i processi di due diligence quando si entra in una relazione d’affari (know your customers). Questo comporta non solo l’identificazione del cliente ma anche di qualsiasi persona che agisce in suo conto e degli eventuali beneficiari;
- Effettuare un monitoraggio continuo delle relazioni d’affari o delle transazioni poste in essere. Le parti obbligate, più precisamente, devono garantire che i documenti, le informazioni pertinenti e i dati, siano aggiornati in tempi adeguati, tenendo conto del relativo rischio;
- Segnalare eventuali transazioni sospette direttamente all’organismo nazionale competente per la segnalazione.
Perché il riciclaggio di denaro sporco è un fattore di rischio per le imprese
L’Unione Europea più volte è intervenuta in tema di riciclaggio di denaro sporco. Il continuo inasprimento delle restrizioni e l’erosione progressiva delle possibili scappatoie hanno imposto alle imprese (ma non solo) di prestare molta più attenzione alla normativa in materia di antiriciclaggio.
Il mancato rispetto della normativa in vigore, infatti, può comportare sanzioni pecuniarie molto salate, ad esempio 5 milioni di euro oppure il 10% del fatturato annuo, senza considerare l’ulteriore danno all’immagine e alla reputazione aziendale.