Ceccarelli (Segretario Nazionale Coina): «Ancora troppo netto lo squilibrio, per le donne della sanità, tra elevate competenze/responsabilità e valorizzazione economica e serenità personale»
ROMA 6 FEBB 2024 – Il fenomeno della “femminizzazione” della sanità italiana, come lo hanno definito report autorevoli, rappresenta un delicato e complesso micro mondo che merita di essere analizzato a fondo, con l’obiettivo di comprendere doverosamente dove stiamo andando in termini di valorizzazione delle professioni sanitarie e, come diretta conseguenza, in che modo la soddisfazione e il benessere, nel nostro caso, di infermiere e ostetriche, incide sulla qualità della tutela della salute della collettività.Il Ministero della Salute, nel disegnare la “nuova mappa” dei professionisti del nostro SSN, aggiornata al 2021, ha evidenziato che il sistema sanitario è sempre più…donna! Lo dicono i numeri.
A dicembre 2021, sono, infatti, più di 450mila, le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del Servizio Sanitario Nazionale, ossia il 69% circa del personale complessivo del nostro SSN.
Non dimentichiamo che, nello specifico, nell’ambito della professione infermieristica, le nostre donne sono, in Italia, il 76,45% degli iscritti agli ordini professionali contro il 23,55% degli uomini.
E allora ci siamo chiesti, noi del Coina, Coordinamento Infermieristico Autonomo, quale percorso hanno intrapreso fin qui le nostre donne della sanità, e in che modo Governo e Regioni sono stati capaci, negli ultimi anni, di trarre beneficio dalle loro indubbie competenze.
«Se solo pensiamo allo scotto che hanno pagato le nostre infermiere in termini di decessi e contagi, nel periodo della pandemia, possiamo doverosamente ricordare il loro coraggio, la loro abnegazione, la capacità di gestire le elevate responsabilità».
Così Marco Ceccarelli, Segretario Nazionale Coina.
«La loro carica umana, da sempre, nell’approccio con il paziente, è in grado di fare la differenza e fa, quindi, il paio con le risorse che le professioniste rappresentano in termini di eccellenze, per una sanità italiana che non può fare a meno di loro ma che non le gratifica fino in fondo.
Eppure, negli ultimi anni, occupano ruoli sempre più importanti e, rispetto al passato, è netta in crescita la percentuale di donne della sanità chiamate a ricoprire, legittimamente, incarichi manageriali e strategici.
Impossibile, allora, non sottoporre, da parte nostra, all’attenzione della collettività, e non è affatto retorica, il fatto che, prima che professioniste, sono naturalmente madri e mogli.
Il tempo sottratto alla famiglie e agli affetti gioca un ruolo chiave in un equilibrio che certo non regna sovrano, tra impegno profuso e capacità, da una parte, e serenità dall’altra.
La loro realtà quotidiana racconta soprattutto di turni massacranti (legati in particolare alla carenza di personale), con il rischio concreto di patologie legate allo stress dei turni di notte (carenza di sonno uguale troppo spesso aumento di malattie cardiache e non solo), fino a quell’ansia quotidiana che si accumula internamente in chi gestisce ogni giorno pazienti in condizioni gravi, in reparti dove lo stress regna sovrano, come ad esempio le terapie intensive, fino ad esplodere nella sindrome di burnout, dove le donne sono decisamente più a rischio degli uomini nell’ammalarsi.
Come, poi, non citare, il triste e drammatico fenomeno delle violenze fisiche e psicologiche nelle corsie, a volte anche perpetrate dagli stessi colleghi, dove le infermiere sono le vittime sacrificali con oltre il 70% dei casi.
Difficile, se non impossibile, rimuovere le cicatrici invisibili dei calci e dei pugni che si traducono in paura e terrore.
Troppe ombre, allora, e fin troppe poche luci, per le nostre donne della sanità, che non sono solo “freddi numeri”, ma una risorsa indispensabili su cui fare leva per ricostruire un sistema sanitario in grande debito di ossigeno», conclude Ceccarelli del Coina.