8 marzo: donne, lavoro e famiglia. Il punto con l’Avvocato Valentina Ruggiero
Supporti insufficienti a conciliare cura dei figli e carriera, retaggiculturali e ancora troppa violenza. La condizione di molte donne in
Italia
Come ogni anno all’avvicinarsi dell’8 marzo, ovunque è un tripudio di
mimose, cioccolatini e frasi in onore delle donne. Ma qual è la
situazione delle donne in Italia oggi?
I dati disegnano uno scenario ancora difficile, con 1 donna su 5 (dati
Inapp-Plus) che si dimette dopo la nascita del figlio, costretta a
scegliere tra famiglia e lavoro. L’occupazione femminile in Italia è
del 55%, a fronte di una media UE del 69,3%. Inoltre, si continua a
registrare ancora un forte divario salariale di genere. Secondo
l’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps,
le lavoratrici del settore privato guadagnano quasi 8mila euro in meno
dei colleghi uomini.
Ancora troppo alti anche i dati relativi alla violenza di genere.
Secondo i dati della Polizia di Stato, ogni giorno 85 donne sono vittime
di reato (maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale), e
spesso per mano di chi dice di amarle (39% marito o compagno, 30% ex
partner).
Il punto della situazione con l’Avvocato Valentina Ruggiero, esperta in
diritto di famiglia, da sempre al fianco delle donne vittime di ogni
forma di violenza.
Quali strumenti legali hanno oggi le neomamme, per evitare di uscire dal
mondo del lavoro?
Mi spiace dirlo ma se non ci sono supporti familiari adeguati, ancora
oggi una donna che desidera realizzarsi e fare carriera non riesce a
trovare un giusto equilibrio tra famiglia (figli piccoli in tenera
età…) e mondo del lavoro. Le penalizzazioni sono ancora tante. Sula
carta vi sono molti contributi‚ ma nella realtà è difficile
eseguirli in quanto ci sono dei tetti minimi e massimi. Basta pensare
alla situazione degli asili nido, che al nord e al centro possono
accogliere circa il 33% dei bambini, mentre al Sud solo il 14%.
Crede che questa scelta sia legata anche al fatto che in Italia il
congedo di paternità è insufficiente? Qual è la situazione?
Il congedo di paternità esiste, ha una durata di 10 giorni, che sono
fruibili da 2 mesi prima della data presunta del parto, a 5 mesi dopo.
Tale congedo è maggiore nel caso in cui la madre sia deceduta,
impossibilitata a prendersi cura del bambino, o lo abbia abbandonato.
Certo, parliamo di una situazione ben diversa da quella spagnola, dove i
giorni di congedo sono gli stessi per entrambi i genitori, o anche solo
francese, dove i giorni sono 28, i primi 7 dei quali obbligatori._
I papà ne usufruiscono, ma ancora ad oggi al donna all’interno della
famiglia tende a sacrificarsi maggiormente per crescere al meglio li
proprio figlio. Sono sempre di più gli uomini che ne usufruiscono,
perché i giovani padri sono più accudenti con i figli minori e più
partecipi alla loro crescita e alla loro cura rispetto a quanto avveniva
in passato. Ma ancora oggi, per mentalità, è la madre lavoratrice a
sacrificare la carriera per crescere i figli. È più una questione di
retaggio culturale.
Il divario salariale di genere genera spesso dipendenza economica dal
partner, e quindi molte donne rimangono sposate anche in caso di
relazioni tossiche e violente. Quale alternativa avrebbero queste donne?
Noi libere professioniste riusciamo a mantenere un’attività lavorativa
poiché possiamo conciliare maggiormente gli orari lavorativi con le
esigenze familiari (anche se è molto complicato, e sappiamo bene che la
libera professione porta con sé altre problematiche). Le lavoratrici
private hanno orari fissi, ai quali spesso si aggiunge il tempo per
raggiungere il posto di lavoro e per tornare a casa, ed è difficile
mantenere un lavoro quando ci si assenta spesso, si chiedono congedi,
giorni per la malattia o le visite del bambino o aspettative. Certamente
la non certezza economica rende meno libere di separarsi e molte donne
per necessità restano ancora sposate con sacrifici psicologici enormi.
Questa dipendenza economica può trasformarsi in una forma di violenza
subdola, difficile da riconoscere anche da parte della vittima. Ogni
caso è, ovviamente, a sé. Se la donna ha rinunciato al lavoro di sua
volontà e, di comune accordo, è il partner a provvedere economicamente
alla famiglia, si tratta di una scelta di coppia legittima e
rispettabile. Se, invece, l’abbandono del lavoro è stato imposto dal
partner, che poi usa il denaro per tenere la donna in una condizione di
dipendenza e sottomissione, la donna e il figlio si trovano a vivere in
un contesto tossico e violento, in quel caso consiglio di rivolgersi ad
un avvocato o ad un centro antiviolenza, per conoscere tutte le
alternative.
La violenza di genere in Italia continua ad essere un fenomeno ancora
molto diffuso. Sono, però, ancora molte le donne che non denunciano,
per vergogna o paura di ripercussioni da parte del loro carnefice,
soprattutto se convivente. Cosa consiglierebbe loro?
Come detto più volte, bisogna denunciare, subito, senza aspettare per
vedere se quella è stata l’ultima volta o se ce ne sarà un’altra. È
importante affidarsi a professionisti che possono aiutare la donna
concretamente, anche garantendole un supporto successivo alla denuncia.
Certamente oggi li codice rosso, li codice rosa e i braccialetti
elettronici hanno permesso di fare passi avanti importanti, velocizzando
le procedure per le denunce e i processi per violenza, e offrendo forme
di garanzia maggiori, ma ci vuole sempre un supporto familiare adeguato.
Se non sente di avere un supporto dai membri della famiglia di origine,
o da amici particolarmente cari, le donne ancora evitano di denunciare,
e questo può portare ai tristi epiloghi che ascoltiamo in cronaca.