Motaz Azaiza, fotoreporter, e Plestia Alaqad, giornalista, sono due delle giovani voci che da ormai sei mesi, attraverso le loro pagine social, raccontano al mondo ciò che accade nella striscia di Gaza.
Un lavoro coraggioso che porta con sé una grossa dose di sofferenza.
Le voci dei giovani giornalisti palestinesi
Motaz Azaiza
Motaz Azaiza è nato nel 1999 ed è cresciuto al centro della striscia di Gaza, nella città di Deir al-Balah. Laureato in traduzione inglese all’Università di Al-Azhar ha iniziato ben presto a lavorare come fotoreporter. Motaz Azaiza, attraverso splendidi scatti, ha sempre raccontato la vita nella striscia di Gaza, con un occhio attento alle persone, alla cultura, al territorio.
Fotografie che raccontano una meravigliosa e normale quotidianità interrotta, però, da bombardamenti e distruzione da parte dell’esercito israeliano, purtroppo ben prima della reazione, tuttora in corso, all’attentato del 7 ottobre scorso da parte di Hamas.
Abbandonare la striscia di Gaza per sopravvivere
Motaz a fine gennaio ha dovuto abbandonare la striscia di Gaza per salvaguardare la propria incolumità ma il suo lavoro non si è mai fermato, anzi. Proprio sulla piattaforma Instagram Motaz ha documentato, ad esempio, il suo incontro privato con Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel quale ha esortato il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a sostenere l’impegno a favore della giustizia e dei diritti.
Ma dal profilo di Motaz Azaiza traspare tutta la sofferenza di un intero popolo: il 24 marzo il giovane fotoreporter ha affrontato pubblicamente, attraverso uno scritto, le sue emozioni più profonde. Ciò che si evince è un serio trauma, forse insanabile, che si alimenta giorno per giorno e che la distanza dalla sua terra acuisce.
Motaz fa notare, inoltre, come le piattaforme social siano in grado di alimentare un clima molto pericoloso: i suoi account social vengono spesso sospesi, oscurati e, addirittura, disabilitati, come ha dimostrato lui stesso con un post su Instagram di qualche giorno fa.
Plestia Alaqad
Plestia Alaqad è una giornalista palestinese nata a Gaza nel 2001. Ha studiato Media e Giornalismo all’Università di Cipro dove si è laureata nel 2022. Anche lei, come Motaz, ha documentato e documenta tutt’oggi, nonostante viva adesso in Australia, la sofferenza del suo popolo.
Plestia Alaqad vuole, soprattutto, ricordare al mondo come il popolo palestinese, nonostante l’occupazione israeliana, abbia sempre dimostrato una grande forza di adattamento e resilienza e lo fa attraverso la condivisione di foto della striscia di Gaza prima dei feroci attacchi dell’esercito israeliano.
Ma anche nei post di Plestia traspare un profondo dolore: in un post del 1° marzo, ad esempio, documenta come l’hotel dove si era tenuta la sua cerimonia di laurea sia stato demolito dalle forze di occupazione israeliane. Uno dei momenti più belli ed importanti della sua vita è stato demolito e spazzato via. Plestia è, inoltre, sempre in contatto con le sue amiche che ancora vivono, o meglio sopravvivono, a Gaza.
Traumi psicologici collettivi
Quello che si osserva leggendo i post di questi due giornalisti palestinesi è un enorme trauma generazionale. Ragazzi al quale è stata letteralmente strappata la quotidianità ma soprattutto la felicità e la serenità. Hanno perso familiari, amici e colleghi a causa dei bombardamenti israeliani.
Nonostante la forte resilienza dimostrata da popolo palestinese questo annientamento da parte del regime israeliano rischia di alimentare un trauma generazionale senza fine. Anche e soprattutto dagli scritti sui social di Motaz Azaiza e Plestia Alaqad emergono prepotentemente sintomi riconducibili a un trauma da stress post traumatico: letargia, malessere, debolezza costante.
Il trauma palestinese si lega con brutale violenza a quello vissuto dal popolo israeliano.
Una spirale di tragedie e traumi che parte dalla Shoah, che ha provocato pesanti danni psicologici collettivi, per arrivare alla Nakba, l’esodo forzato del popolo palestinese del 1948 che alimenta un senso di deprivazione e di perdita collettivo; e ancora l’attentato del 7 ottobre da parte di Hamas per proseguire poi con gli attacchi dell’esercito israeliano, tuttora in corso.
È davvero possibile costruire una pace solida e duratura senza affrontare concretamente questi traumi collettivi, storici e transgenerazionali?
Link profili instagram:
Motaz Azaiza: https://www.instagram.com/motaz_azaiza?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==
Plestia Alaqad: https://www.instagram.com/byplestia?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==
Elena Elisa Campanella