Salute, Nursing Up De Palma. «Progetto Bertolaso infermieri sudamericani. Nostra indagine nella realtà dei primi infermieri arrivati lo scorso dicembre in Italia e inseriti nell’Asst Sette Laghi di Varese. Il bilancio è decisamente negativo
A 5 mesi dal loro arrivo, ci risulta che occorre ancora a loro fianco un tutor bilingue e non sono affatto autonomi nelle equipe sanitarie di cui fanno parte».
ROMA 29 APR 2024 – «E’ davvero il caso di dire che la via delle Americhe si sta rivelando più complessa e tortuosa che mai. E non può essere certo una soluzione a lungo-medio termine quella di immaginare, per il presente e il futuro di realtà complesse e in piena crisi come la Lombardia, l’inserimento di professionisti sanitari stranieri non solo con titoli di studio frutto di percorsi di formazione differenti dai nostri, ma soprattutto enormi barriere linguistiche da superare, per le quali occorre un tempo che, considerati i problemi con cui siamo alle prese, non abbiamo certo a disposizione.
Oltre tutto, ovunque, ci viene legittimamente riconosciuto, come una delle nostre maggiori virtù, apprezzata non solo a livello europeo, un approccio ai pazienti differente rispetto a quello di colleghi di altri paesi. In particolar modo, i nostri professionisti dell’assistenza, oltre alle competenze scientifiche, vengono formati, sin dal primo anno di studi, per costruire da subito empatia e relazioni umane che, nel rapporto con il malato, nel suo processo di guarigione, si rivelano spesso fondamentali.
Uno dei pochi che a quanto pare non ha compreso quanto l’angusta scorciatoia degli infermieri sudamericani rappresenti una soluzione che non risolverà affatto il malcontento e la carenza di professionisti in Lombardia, così come in altre regioni, è proprio l’Assessore al Welfare, Guido Bertolaso che, ripetiamo nulla di personale contro il suo progetto, si ostina però a proseguire nel suo intento, convinto di avere nelle mani la panacea di tutti i mali per una Lombardia che rimane la prima regione italiana per carenza infermieristica, con quei 9mila professionisti mancanti all’appello, dati questi inconfutabili che richiedono ben altri interventi che la politica si ostina a non voler mettere in atto.
Soprattutto facciamo fatica a comprendere come si possa perdere di vista la priorità, che può essere una e una soltanto: valorizzare gli infermieri che abbiamo in casa, ridonare appeal alla nostra professione, arginare la fuga all’estero e le dimissioni volontarie, ricreare finalmente un indispensabile ricambio generazionale, ricostruire la fiducia tra operatori sanitari e collettività che si sta sgretolando, giorno dopo giorno».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Abbiamo voluto approfondire, con una nostra indagine dedicata, a che punto è l’adattamento e l’autonomia degli infermieri che arrivarono lo scorso dicembre da Argentina e Paraguay e che furono inseriti nella realtà dell’Asst Sette Laghi Varese.
Il bilancio è controverso e non certo unilaterale. Se la Direzione Sanitaria, nelle sue note ufficiali, elogia gli intenti di Bertolaso, ma nel contempo non nasconde la necessità di evidenziare che trattasi comunque e sempre di soluzioni-tampone, è il locale Ordine Professionale a evidenziare come, di fatto, a cinque mesi di distanza dal loro arrivo in Italia, questi infermieri non sono ancora del tutto autonomi.
Abbiamo confrontato diverse fonti autorevoli grazie all’aiuto dei cronisti locali e la realtà non è affatto edificante.
Dopo solo 4 settimane di corso di lingua italiana presso il centro accreditato regionale Gulliver, come rivelammo noi stessi all’epoca del loro arrivo, la maggior parte di questi infermieri, ne sono arrivati 11, non sarebbero di fatto autonomi!
In parole povere è stato necessario affiancare loro, dopo il corso di italiano, un ulteriore tutor, che li supporta e che, sempre salvo prova contraria, li affianca ancora oggi con la conoscenza della lingua spagnola e li aiuta nella comprensione delle funzioni quotidiane da svolgere nell’equipe, quindi sia nelle comunicazioni con i colleghi che con i malati.
E’ evidente, pertanto, che di base, come d’altronde denunciammo noi stessi, c’era l’esigenza, seduta stante, di coprire le falle delle carenze, per non dover chiudere ulteriori reparti.
Inoltre, da indagini che stiamo cercando di supportare con ulteriori approfondimenti, lavorerebbero tutti all’Ospedale di Circolo, reparto Medicina.
E’ davvero questa la sanità del presente e del futuro che vogliamo?
A cosa serve depauperare il patrimonio di professionisti italiani che abbiamo a disposizione, o assistere inermi a fughe all’estero e dimissioni, per poi incollare i cocci di un vaso ridotto in mille pezzi, con professionisti stranieri che, con tutta la buona volontà, dopo cinque mesi, non possono essere certo considerati una svolta?