Nella giornata di domani, domenica sette luglio, i francesi andranno al voto per il secondo turno delle elezioni: in ballo l’incarico di formare un nuovo governo. Le Pen in vantaggio, ma la maggioranza è lontana. La sinistra le prova tutte: dona i suoi voti a Macron, che non ricambia il favore; che preferisca i lepenisti al LFI?
“Dico adunque, che ne’ Principati in tutto nuovi, dove sia un nuovo Principe, si trova più o meno difficultà a mantenergli, secondo che più o meno virtuoso è colui che gli acquista. E perché questo evento di diventare di privato Principe presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste due cose mitighino in parte molte difficultà. Nondimeno colui che è stato manco in su la fortuna, si è mantenuto più”È in questi termini che il politologo Niccolò Machiavelli parla del regnante del principato nuovo, sistema da lui tanto discusso nel saggio capolavoro “Il Principe”: uno smaliziato pragmatista, virtuoso e forte, che per mantenere la propria carica di sovrano leviatano sul popolo, deve essere in grado di esercitare il proprio potere, giustificando talvolta l’utilizzo delle armi.
La Francia dell’estate 24 si presenta in maniera decisamente differente rispetto alla ridente Firenze pre-rinascimentale, luogo di contrasti, tirannie, fame e mal politica. Si parli della politica estera, delle crisi sociali, delle proteste o dell’economia della Francia, l’Italiano, checché se ne dica, non fa altro che riconoscere nei sessantacinque milioni di abitanti del paese oltrealpe la figura di rappresentanza Emmanuel Macron, certamente l’uomo francese più conosciuto al di fuori del proprio Stato.
L’epitaffio dei moderati
Il clima è torrido, l’estate lascia pochi ricordi delle fredde ventate che gelano le orecchie, e la Francia freme, bolle, si compatta nel nome della Révolution. Perché alle Europee dell’otto e nove giugno han dato voce in voto ai propri umori ed il centrista Macron, quello che nessuno ama e tutti odiano, quello che si dice di centro perché non potrebbe fare altrimenti, ha avuto prova d’aver perso l’originario consenso che il suo popolo gli aveva prodigato, in nome d’una politica anti-dogmatica, di riflessione, di moderazione. Questo sorta di Matteo Renzi transalpino, in un non scontato moto di onestà e lucidità, s’accorge di non essere più amato, di non avere più l’appoggio degli elettori: una situazione analoga a quella dei tempi della Comune di Parigi, quando allora solo l’attuale capitale era progressista, e la restante fetta della popolazione era invece fortemente conservatrice; oggi Macron ha un forte appoggio nella città più importante della Nazione, ma è odiato al di fuori di essa. Il governo però nel 1871 risiedeva a Versailles, per cui Parigi poteva tranquillamente prendere la via di una politica autonoma. Oggi, invece, non è difficile prevedere l’insediamento di un governo reazionario che governa nell’unica città che lo respinge… Il centrismo francese, dai natali decisamente più lontani rispetto a quello degasperiano del nostro paese, andrebbe rivisitato.
Le Pen
Con la disfatta di Macron, Rassemblement National esce vittorioso dal primo turno delle elezioni. La destra non si fa domande, si fida di Marine Le Pen, in politica da oramai più di venti anni ed oggi finalmente alla ribalta. La sinistra intanto medita sui propri errori, non prima di tentar di prevedere quel che aspetterà la Francia con il governo della futura leader. Dopo aver votato la legge sull’immigrazione, verranno prese altre misure? Aumenterà lo sforzo bellico in Ucraina rispetto a quanto disastrosamente fatto da Macron? Colpirà sanità, pensioni e quant’altro? Tutti quesiti che ancora non hanno risposta. Ma dopo che ella ha definito “eroica” la difesa del popolo ucraino, far previsioni pare un giochetto da ragazzi. L’amichetta di Salvini (pare non si cerchi né si trovi con il premier Meloni…) potrebbe legar più con l’Italia e meno per la Germania, ma di certo v’è poco.
Desistenza: Macron non regala voti
Discorsi di lana caprina, penserà Macron. Sconfitto, umiliato. Ma forse, non rammaricato da capo a piedi. Avrebbe, in caso contrario, certo utilizzato la via della desistenza per far perdere voti alla leader di RN; invece, nulla. Ma cosa si intende per desistenza?
Il secondo turno delle elezioni (in programma il 7 luglio) vede 306 delle 577 circoscrizioni assegnate tramite ballottaggio tra tre candidati che nella maggior parte dei casi favorirebbe la destra. È in questo frangente che entra in caso la “desistenza”: il terzo ed ultimo candidato per voti può decidere di ritirarsi e regalare i propri voti al secondo candidato. Desistere poteva essere un’arma per creare un nemico abbastanza potente da duellare con Le Pen; Melenchon non aspetta nemmeno i risultati definitivi e dichiara che ogni ballottaggio cui il suo fronte finirà terzo si ritirerà, passando i propri voti a Macron.
Favore non ricambiato. Macron si rifiuta di garantire i propri voti alla sinistra, probabilmente per paura, magari pure motivata. “Non governeremo con LFI (La France Insoumise), desistenza non significa coalizione“
Sinistra unita: non basta
Il Nuovo Fronte Popolare non si nasconde certo dietro maschere di facciata: necessario è non far vincere la destra. Nato dalle ceneri di alcuni dei più importanti movimenti francesi, NFP si presentava come una enorme forza unitaria, fondata dal basso, nella misura cui nacque a suo tempo il partito di Melenchon.
Egli fondò LFI su ispirazione dei Podemos, vecchio partito rivoluzionario spagnolo; da una riunione in Stalingrado Rue, prese piede la contemporanea forza principale della sinistra francese, la quale ha deciso di mettere da parte i vecchi contrasti e chiedere a tutti (ma proprio tutti), anche alle più antiquate e superate leghe: dal vecchio Partito Socialista, nato nel 1899 e indissolubilmente legato al repubblicanesimo e ad un’economia mista, che ha governato a cavallo tra gli anni ottanta e novanta (Mauroy e Mitterrand gli esponenti principali) interrompendo ventitré anni di destra, per poi corrompersi e finire tra le grinfie di Holland a seguito di molteplici scissioni, al Partito Comunista, passando dal Las Ecologistes, due partiti estremisti rispetto a quello socialista. Temi di natura economica e sociale che accordino tutti, come comun denominatore per diventare una grande forza. Ciò non è bastato: la Francia ha votato, e a differenza del caso dell’Inghilterra, la sinistra non riesce a rispondere agli umori degli elettori.
Simone Soro