XLII Festival La Notte dei Poeti: domani (domenica 21 luglio) alle 20 le “Metamorfosi” di Ovidio
Viaggio tra storie emblematiche e fantastiche in un’epoca di dèi e eroi con le “Metamorfosi”, dal celebre poema di Publio Ovidio Nasone, nell’intrigante mise en scène firmata da Andrea Baracco, con la voce recitante di Nina Pons e i tamburi giapponesi dei Munedaiko, l’ensemble formato dai musicisti e performers Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro e Tokinari Yahiro (Produzione Cardellino Srl), in cartellone DOMANI (domenica 21 luglio) alle 20 nell’area archeologica di Nora, a Pula sotto le insegne della XLII edizione del Festival “La Notte dei Poeti” organizzato dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con la direzione artistica di Valeria Ciabattoni, con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegnae del Comune di Pula e con il contributo della Fondazione di Sardegna. Una pièce spettacolare e avvincente che fonde il fascino degli antichi miti, rielaborati e tradotti in versi dal grande poeta romano, alle metriche incalzanti e ipnotiche del “Taiko”, il tradizionale strumento nipponico «che attraverso le sue vibrazioni, mira ad approfondire l’armonia dello spirito in risonanza con la mente e gli stati d’animo di ogni essere umano» per evocare atmosfere e suggestioni, dall’Origine del Mondo, emerso dal Chaos primigenio, all’amore di Apollo per Dafne, che per sfuggire alle profferte del dio si trasforma in pianta, quell’albero di alloro sacro al signore delle Muse, al folle volo di Fetonte sul carro del Sole, conclusosi in tragedia per l’irruenza e la temerarietà del giovane,che precipita nel vuoto, come una meteora infuocata, perdendo la vita.
Tra parole, suoni e visioni, le “Metamorfosi” – in prima nazionale STASERA, sabato 20 luglio alle 20 al Nuraghe Palmavera di Alghero, per la programmazione dell’Estate a cura del CeDAC Sardegna nella città catalana, poi in replica sempre nell’ora del tramonto DOMANI (domenica 21 luglio) alle 20 a Nora – affrontano attraverso le arcaiche favole temi di forte attualità, fin dalla nascita del Cosmo e la creazione dell’Uomo che prefigura il complesso rapporto con la Natura, e in particolare con Gaia, la Terra madre e matrigna, che nutre e tormenta con carestie e cataclismi le varie specie, dea potente e terribile, senza dimenticare la cupa passione che arde nel cuore di Apollo, incapace di accettare il rifiuto della bella ninfa, tanto che Dafne per sottrarsi alla violenza preferisce una morte simbolica, né la sventatezza e l’arroganza del figlio di Helios (alias Febo Apollo), Fetonte, auriga troppo audace e inesperto per condurre il luminoso carro, che diventa involontario artefice e vittima di un vero e proprio «disastro aereo».
Nell’immaginifico poema, composto prima dell’esilio, Ovidio costruisce la sua personale teogonia attingendo a diverse fonti e rielaborando le storie, inserendosi cosi idealmente nella schiera dei custodi di un patrimonio immateriale di miti in cui gli antichi cercavono le risposte agli interrogativi sul mistero della nascita del cosmo e sul significato dell’esistenza, inventando figure divine, inizialmente incarnazioni e proiezioni delle potenze della natura, dal volere imperscrutabile, poi via via sempre più simili alle umane creature, con i loro desideri e capricci, come l’attrazione spesso fatale per i mortali. Nelle “Metamorfosi” con adattamento e regia di Andrea Baracco spiccano racconti di grande suggestioni e questioni cruciali e talvolta di dolorosa attualità, come nella vicenda di Dafne, la stupenda Naiade concupita da Apollo, il quale non sa rassegnarsi al rifiuto ma anzi si dà all’inseguimento della ninfa fuggitiva, finché questa sfinita per evitare un amplesso non voluto si affida a Gaia, tramutandosi in una pianta e dunque in un certo senso rinuncia alla vita.
Nell’ingloriosa impresa del dio, figlio di Afrodite, così come in generale negli “amori” divini spesso culminanti in rapimenti e abusi, oscuro retaggio di una cultura patriarcale, si ravvisano gli stessi moventi e atteggiamenti maschili, riflesso di una società che confonde la prestanza virile con l’esercizio della forza e attribuisce alle donne un ruolo subordinato, immaginandole come miti e sottomesse, deboli prede, vittime di violenza anche nella dimensione più umana del mito. La sorte di Dafne ricorda quella di tante donne abusate e uccise, rientra nell’alveo di una civiltà arcaica in cui la (presunta) supremazia maschile si esprime non solo e non tanto in termini di “protezione” e difesa delle creature più fragili, quanto in un tentativo di dominio assoluto sulla volontà e sul corpo stesso di coloro che sono confinate al ruolo di spose e madri, talvolta sacerdotesse, perfino regine ma sempre in qualche modo succube in uno schema patriarcale. Medea e Clitemnestra infrangono la regola, ma perfino la ribellione di Antigone paga il prezzo amaro del sacrificio: il mito di Apollo e Dafne rientra nello schema anche se alla fine, mutata in pianta, la ninfa trionfa sul suo aggressore, sfuggendo alle sue mire brutali, alla violenza di un raptus che somiglia alla pazzia. «Ma il Dio folle d’amore e passione non si arrende, si getta sulla pianta avvolgendola in un abbraccio feroce. La corsa nei boschi di Dafne per sfuggire alla foga amorosa di Apollo è terribile e insieme straziante, spaventosa, tanto è prossima ad una delle troppe cronache odierne».
Nella sua vanità e fragilità, ammantata da orgoglio, Fetonte incarna la giovinezza, forse ancora l’adolescenza e la ricerca della considerazione da parte di un padre, quel Sole / Helios o meglio Febo Apollo cui chiede in prestito il carro per rispondere a una sfida: «nonostante le raccomandazioni e i consigli del dio, che lo esorta alla prudenza, a tenere una giusta via di mezzo, a non volare né troppo in alto né troppo in basso, lo sfortunato ragazzo, sprezzante del pericolo parte; i cavalli corrono all’impazzata, senza freni, il giovane ne perde presto il controllo, il carro prende fuoco, si incendiano anche i suoi capelli. Fetonte precipita come una stella cadente e muore. Sulla sua tomba vengono incisi due versi: “Qui giace Fetonte, auriga nel carro del padre: / a reggerlo non è riuscito, ma è caduto in un grande progetto”».
Nelle “Metamorfosi”, in un mondo ancora governato dagli dei e dal fato, la narrazione dell’Origine del Mondo lascia il posto al gioco delle passioni, dalla follia di Apollo, prigioniero della potenza di Eros all’arroganza di Fetonte, l’uno e l’altro in qualche modo sconfitti e vinti, ricondotti a più giusta misura, nell’ordine delle cose che governa l’armonia del cosmo: una metafora poetica forse del trionfo della ragione e dell’ideale della pax augusta. Le antiche favole che si intrecciano nel poema di Ovidio, continuano a ammaliare gli ascoltatori, come nella moderna rilettura firmata da Andrea Baracco incastonata tra le antiche pietre del maestoso complesso nuragico e tra le rovine della città sommersa per la regalare nuovi incanti nella “Notte dei Poeti”.