Cagliari, 2 agosto 2024 – Il mondo delle produzioni aromatiche e officinali della Sardegna è un mondo in miniatura sul piano delle superfici coltivate e degli imprenditori agricoli coinvolti. Una realtà che negli ultimi decenni, poiché settore decisamente nuovo sul panorama agricolo locale, ha vissuto luci e ombre tra attenzione prestata dalle istituzioni e prime aggregazioni dal basso, naufragate troppo velocemente, tra gli imprenditori agricoli. I piccoli numeri e la frammentazione produttiva non sono certo stati i punti di forza di un comparto che stenta a costruire una filiera, ma che attira tuttavia sempre di più gli interessi dei consumatori locali e internazionali. L’attenzione verso medicinali e prodotti di cosmesi, tisane, marmellate, bevande e liquori di stretta derivazione naturale stanno contribuendo ad alimentare un mercato e un settore della ricerca che spesso deve fare qualche passo indietro verso il recupero di vecchie ricette, custodite nella memoria recente di numerose comunità del bacino del Mediterraneo. Ma è certo che in Sardegna il prodotto derivante dalle coltivazioni di numerose di queste varietà vegetali è ancora una minima parte rispetto a tutto ciò che ogni anno arriva dalla raccolta dello spontaneo, affidata spesso a piccole imprese che sempre di più devono fare i conti con gli elevati costi della manodopera o, ancor peggio, con la mancanza di forza lavoro.
Oltre Tirreno. Nel vecchio continente, dai dati emersi in alcuni tavoli di lavoro organizzati dalla Federazione italiana produttori piante officinali (FIPPO) tenuti nell’ultima rassegna Macfrut a maggio 2024 a Rimini, si produce il 50% (circa 350mila tonnellate di materiale secco) delle erbe officinali del pianeta, con un mercato globale dato in crescita annua intorno all’11%. Secondo la FIPPO, l’Italia si attesterebbe su una produzione di circa 4mila tonnellate in 7300ettari, appena il 20% del fabbisogno interno, lasciando quindi immaginare quanto siano ampi i potenziali margini di crescita per le imprese nazionali. Sullo scenario europeo sono numerosi i modelli di sviluppo che con le aromatiche e officinali hanno creato la propria fortuna, conquistando non più gli scafali delle storiche erboristerie ma anche, con l’avvio dell’intensivo, quelli forniti dalla grande distribuzione. In cima alla lista c’è sicuramente la Francia che con le produzioni di lavanda nelle regioni della Savoia e della Provenza o di elicriso in Corsica è diventata un faro in termini di organizzazione di filiera. Tra i soggetti emergenti si stanno affermando invece nuove realtà notevolmente dinamiche come Ungheria, Bulgaria, Bosnia e altri paesi dell’Est.
Confagricoltura Sardegna. “Per riprendere il filo del discorso dedicato a questo comparto dalle notevoli potenzialità di sviluppo, che proprio in Sardegna conserva una ricchezza di varietà vegetali spontanee inimitabile, Confagricoltura Sardegna ha iniziato alcune settimane fa un tour fra i propri associati, dal sud al nord della regione, per raccogliere consigli e testimonianze”. Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, che ha aggiunto: “Si tratta di un’analisi del settore che si concluderà nei prossimi mesi e che permetterà di definire un quadro da cui ripartire con progetti e proposte tra operatori e istituzioni. Una presa di coscienza dove i produttori saranno i veri protagonisti e i loro punti di vista la via maestra su cui fondare un nuovo approccio attraverso cui costruire, prima di tutto, la filiera”.
Alcuni dati. Secondo l’ultimo report elaborato dall’Agenzia agricola regionale Laore, sulle sole produzioni biologiche, sono circa 75 gli ettari di piante aromatiche e officinali coltivati in tutti i territori della Sardegna. Un dato microscopico, circa lo 0,33% delle colture biologiche dell’intera agricoltura isolana, che è destinato ad aumentare notevolmente se si tiene conto della galassia produttiva in regime convenzionale. I dati di Laore raccontano un comparto atomizzato e sostanzialmente concentrato su due colture: il mirto, con circa 23 ettari, e l’elicriso, appena sopra i 20. A superare i due ettari di estensione aziendale sono solo la lavanda (6,4ettari), lo zafferano (5,36), il peperoncino (2,93), il finocchietto (2,8) e il coriandolo (2,28ettari). Territorio leader di queste produzioni è Turri, con ben 24,37ettari, a cui seguono Luogosanto con 8,24ettari e Trinità d’Agultu e Vignola con 6,77ettari. Primo comune del sud Sardegna è invece Teulada con 4,23ettari.
Patrizia da Luogosanto. Se si vuole parlare di piante officinali in Sardegna e in particolare di elicriso non si può non tener conto della testimonianza di Patrizia Daniele, lombarda d’origine e sarda d’adozione da quasi quarant’anni. Patrizia, rappresentante regionale della FIPPO, è la memoria storica di questo mondo dove può vantare la leadership nella valorizzazione dell’elicriso isolano, e dei suoi derivati, che coltiva e raccoglie nei territori della Gallura, con sede aziendale a Luogosanto dal 1987, su una superficie di quasi 20ettari. Erborista e imprenditrice agricola, ha partecipato in prima persona, soprattutto dall’inizio del secolo, a tutte le evoluzioni aggregative del comparto sardo, ai confronti con le istituzioni regionali e poi nazionali fino ad aver dato un contributo importante nella storica riforma, l’ultima norma era del 1931, che ha portato all’approvazione del Testo Unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali (DL 75 del 18 maggio 2018). “Si tratta di una svolta epocale, che ha riordinato la legislazione mettendo al centro il produttore primario che può coltivare, raccogliere ed eseguire la prima trasformazione senza necessità di aver alcuna autorizzazione”. Così Patrizia Daniele che ha aggiunto: “È necessario fare sistema tra le aziende, incontrarci per condividere esperienze e buone pratiche. Senza una filiera e quindi un marchio che identifichi le produzioni officinali e aromatiche della Sardegna non ci possiamo aspettare che si sviluppi un comparto. Senza una identificazione e quindi una rete che caratterizzi questo mondo non si può dar vita a una crescita che deve partire dal territorio e dalla valorizzazione dei luoghi da cui arrivano le produzioni. Un esempio per tutti è quello che si è costruito in questi ultimi anni con la nascita del Consorzio di tutela del Vermentino di Gallura Docg: un passo avanti che ha dato a questo prodotto una sua dignità e un suo spazio, differenziandolo dagli altri vermentini. Lo stesso hanno fatto in Corsica con la creazione dell’Igp dell’elicriso, che lo ha identificato e brandizzato rispetto al ricco mercato internazionale. Dobbiamo quindi – ha proseguito Daniele – caratterizzare le nostre produzioni, studiarle e definirne la tipologia, così da poterne valorizzare la tipicità e darci un’identità tutta nostra. Nel confronto con le istituzioni nazionali e regionali è necessario invece chiedere di avere referenti fissi e capaci di recepire le nostre istanze, mentre l’Agenzia Laore dovrebbe assicurare un’assistenza costante da costruire ascoltando noi produttori”.
Giuliano da Pimentel. Giuliano Vacca, 69 anni, ha la sua azienda di circa sette ettari a Pimentel (Sud Sardegna), dove ha iniziato a operare nel 2006 avviando una coltivazione di mirto nero e bianco su una superficie di quasi sei ettari. Circa la metà delle bacche di mirto lavorate in Sardegna arrivano ancora dalla raccolta dello spontaneo. Anche le bacche dell’azienda Vacca vengono raccolte e vendute per la produzione del liquore, mentre le foglie sono essiccate in azienda e vendute per la cosmetica, la realizzazione di tisane e olio essenziale. A completare le coltivazioni ci sono inoltre la salvia, l’alloro, il rosmarino e il fico d’India, con varietà tipiche dell’Isola. “Essere un piccolo comparto – ha spiegato Vacca – vuol dire non riuscire a creare grandi interessi verso il nostro mondo, dove è sempre meno presente la ricerca sull’innovazione tecnologica destinata a mezzi agricoli e nuove pratiche colturali. Essere pochi significa anche ridurre lo scambio di conoscenze e, paradossalmente, la capacità di mettersi assieme nel fare massa critica nella vendita dei nostri raccolti, ma anche nel confronto con le istituzioni”. Vacca ha poi ricordato che mancano studi e dati aggiornati sul comparto e che le Agenzie regionali dovrebbero porvi rimedio quanto prima poiché “senza avere un quadro realistico del settore non si può avviare una programmazione futura efficace”.
Antonio da Serrenti. Antonio Fois, agronomo di 39 anni, ha avviato la sua azienda in agro di Serrenti nel 2017 dopo la laurea a Sassari e un’esperienza nella ricerca universitaria, ritagliandosi uno spazio tutto suo dalle storiche produzioni cerealicole di famiglia. Dei circa sei ettari che segue, tre sono destinati alle piante officinali dove l’impresa è leader in Italia nella coltivazione del Tea tree, pianta australiana, da cui si estrae l’olio essenziale per la trasformazione in cosmetici, creme, saponi, unguenti e profumi. Una filiera chiusa tra coltivazione e vendita che caratterizza lo spirito prettamente olistico dell’azienda in cui prendono inoltre vita e forma, in pieno campo o in serra, la lavanda e le rose, il mirto e il rosmarino, e poi agrumi, alloro ed elicriso. Un approccio innovativo e originale che Antonio ha sviluppato un passo alla volta tagliando quest’anno il traguardo dell’apertura di un vivaio di produzione e vendita e già da qualche stagione un luogo dedicato al benessere della persona, che raggiungono in tanti da diverse aree della Sardegna e della penisola. “Purtroppo, in Sardegna – ha osservato – non ci sono programmi di assistenza agricola per il nostro mondo. Devi fare tutto da solo e questo ci rende deboli e incapaci di sviluppare appieno un settore dalle potenzialità incredibili. La ricerca scientifica dobbiamo andare a prenderla fuori regione, perché da noi non si fanno studi e selezioni sulle cultivar da valorizzare. La formazione, per noi produttori, è fondamentale, ma è altrettanto importante che a farla siano docenti aggiornati e che conoscono da dentro le realtà delle officinali nazionali e sarde in particolare”, ha concluso Antonio Fois.