“Calcedonio Catalano, nato nel 1932 a Palermo, era un ragazzo di appena 13 anni; la sua giovane vita fu stroncata per mano di uno scontro a fuoco tra banditi e i carabinieri, perchè i killer erano convinti che Calcedonio fosse una spia. Purtroppo però il giovane non era una spia, ma un semplice ragazzo di 13 anni che quel 18 agosto 1945 nella contrada San Filippo di Roccapalumba perse la vita. Era un ragazzo umile e di lui non si sa molto, le informazioni non sono tantissime, ma storie come questa portano non solo agli adulti, ma soprattutto i giovani a riflettere; infatti chiunque ascolti questa storia dentro di sé pensa che non sia giusto, soprattutto a 13 anni, uscire di casa per non tornarci mai più; i pensieri di un ragazzo sono altri, si pensa ai giochi, alla vita, al futuro e non a vivere col terrore della morte. Purtroppo la sua storia non è molto nota, ma è solo con la conoscenza e il ricordo delle giovani vittime che si spera di scuotere le coscienze, si spera che la società si stanchi di tanti orrori, di piangere vittime innocenti, e si dica finalmente basta a ogni forma di criminalità organizzata, che, pur di salvaguardare i propri interessi, trascina nel baratro della morte giovani vite senza guardare l’età, le speranze, i sogni.” (Simone Calì)
“Il 18 agosto del 1991 a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, la criminalità organizzata ha rubato la vita a Felice Dara, un ragazzo di soli 20 anni, ucciso ingiustamente perché sospettato di avere rapporti con un membro del gruppo degli stiddari. Felice si trovava sul lungomare di Alcamo quando venne preso alla sprovvista dal killer che si accostò al suo tavolino mentre si gustava un gelato con sua sorella Marcella e la loro amica Antonia Narese; Felice tentò di salvarsi, ma venne colpito ripetutamente da una serie di colpi da arma da fuoco alla schiena, che ferirono anche Antonia Narese e un passante. L’omicidio avvenne sul lungomare davanti a numerosi testimoni. Tale delitto non dev’essere dimenticato soprattutto dalle persone che sono state presenti nel momento in cui è stata rubata la vita a Felice Dara; bisogna mantenere acceso l’impegno nella lotta contro la criminalità organizzata. La comunità non deve rimanere indifferente dinnanzi a tali tragedie, il silenzio, l’indifferenza rafforzano la criminalità organizzata che indisturbata continua a mietere vittime.” (Erica Castellano)
“Era il 18 agosto 2004, si stava avvicinando l’ora del tramonto, ci troviamo nei pressi di Marina Grande, a pochi metri dalla spiaggia e dagli affollati chalet della zona, quando ad un certo punto due macchine si scontrano. Si capì fin da subito che erano dei ragazzi intenti a litigare; gli animi si accesero sempre di più quando i giovani scesero dall’auto e iniziarono a urlare brutte parole e insulti, impaurendo i bambini e le persone che passavano da lì. Proprio in quel momento entra in scena un di ragazzo appena 20 anni, Fabio Nunneri, per mettere fine alla rissa; ma qualcosa andò storto e una coltellata gli arrivò al petto. I ragazzi accorgendosi di quello che avevano fatto fuggirono e per Fabio Nunneri le cose si complicarono sempre di più, fino a quando si spense per sempre. In poco tempo fu avvertita la polizia locale che cercò di rintracciare i responsabili in tutti i modi, grazie ai posti di blocco, blindando l’intera città. Il giorno dopo, il colpevole si presentò in caserma accompagnato dal padre e dal suo legale e si giustificò dicendo che aveva visto arrivare Fabio insieme a degli amici e aveva preso il coltello solo per difendersi in caso le cose si fossero messe male, ma la situazione gli era sfuggita di mano. L’omicida fu condannato a 16 anni di carcere. Fabio fu definito “guaglione napoletano, scugnizzo della bontà” infatti possiamo dire ancora una volta che la criminalità ha portato via un’altra anima buona, ma nonostante tutte le storie che abbiamo sentito, nonostante tutte le vittime che ci sono state e ancora oggi purtroppo continuano ad esserci, è bene sottolineare che molte vite vengono strappate per motivi futili, che sono il terreno fertile della criminalità organizzata. È proprio qui che occorre l’intervento dello Stato, è qui che bisogna vedere la sua presenza nel creare una società più giusta ed equa che dia ad ogni individuo la possibilità di crescere e realizzarsi. Ciò certamente renderebbe molto più difficile il reclutamento di giovani nelle organizzazione mafiose che con il loro fumo negli occhi, con le loro menzogne mostrano false strade per giungere a realizzare i sogni che ognuno di noi porta nel cuore.” (Mariapia Costa)
“La Strage di Passo di Rigano – Bellolampo è una strage di stampo mafioso, organizzata dalla banda di Salvatore Giuliano.
Era un pomeriggio del 19 agosto 1949 e una banda di criminali armati aveva assalito la caserma di Bellolampo, situata vicino a Palermo; le forze dell’ordine della caserma erano riusciti a respingere l’attacco e avevano chiamato i rinforzi. Tempestivamente da Palermo erano partite delle unità verso Bellolampo, rastrellando la zona.
A causa dell’orografia del terreno e dell’orario serale, l’operazione non aveva avuto successo, perciò i carabinieri stavano tornando in caserma.
Al loro rientro, al Passo di Rigano, intanto era stato teso un agguato, con una mina innescata da un filo di ferro. Venne colpito l’ultimo dei cinque autocarri del “XII Battaglione Mobile Carabinieri”, che era composto da due autoblindo e da cinque autocarri pesanti che trasportavano in tutto sessanta unità.
Ciò aveva provocato il ferimento di dieci carabinieri e la morte di altri sette giovani militari dell’Arma: Pasquale Marcone, Giovan Battista Aloe, Armando Loddo, Ilario Russo, Gabriele Palandrani, Antonio Pubusa e Sergio Mancini.
La strage era stata pianificata in tre fasi consecutive: l’attacco alla caserma di Bellolampo, l’agguato alla colonna in fase di ritorno e l’assalto alle forze accorse da Palermo dopo gli ordini ricevuti dagli ufficiali dell’Arma dei carabinieri e dall’ispettorato della Polizia di Stato.
Il motivo del massacro era quello di affermare la propria rivalsa contro lo Stato italiano e di reagire con una ritorsione a seguito degli arresti avvenuti precedentemente.
Tali eventi tragici portarono alla reazione delle Istituzioni per contrastare le azioni di Giuliano e degli altri banditi che avevano potere sulla popolazione rurale dell’entroterra siciliano.
Di conseguenza era nato il “Comando Forze Repressione Banditismo”, organizzato dall’Arma dei carabinieri, con l’obiettivo di lottare contro il fenomeno del banditismo.
Secondo fonti ufficiali, nel 1950 era stato ritrovato il corpo senza vita di Salvatore Giuliano, nel suo cortile di casa, poco dopo un conflitto a fuoco con un reparto dei carabinieri.
L’Arma dei carabinieri, la prima Istituzione d’Italia, nata più di due secoli fa, era ed è considerata una bandiera per il popolo italiano, atta a creare e mantenere un legame di fiducia nei confronti dei cittadini.
Pertanto l’intervento delle forze dell’ordine è la dimostrazione che, nonostante un attacco violento contro una giovanissima Repubblica, lo Stato democratico ha prevalso contro la criminalità organizzata. Sebbene sia passato quasi un secolo dalla strage di Passo di Rigano e la Repubblica sia un po’ più matura, l’ Arma dei carabinieri e le forze dell’ordine continuano la lotta contro la criminalità organizzata rappresentando lo Stato in ogni angolo del territorio nazionale, cercando di salvaguardare la pace, la legalità, la giustizia e la serenità di tutti i cittadini Italiani.” (Rocco Graziani)
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.