“Circo Kafka” è una pièce affascinante e originale liberamente ispirata a “Il Processo” di Franz Kafka, che narra la storia di Josef K., procuratore presso un istituto bancario, la cui esistenza viene stravolta da un paradosso giudiziario: accusato di un misterioso crimine, di cui ignora la natura se non la gravità, nel giorno del suo compleanno il protagonista riceve la visita inattesa di due guardie e di un ispettore e scopre così di trovarsi in stato di arresto, senza però che questo, per il momento, interferisca con la sua normale attività professionale. Una vicenda dai toni surreali, in cui l’imputato non ha modo di difendersi poiché non conosce il reato a lui ascritto, eppure è costretto a presentarsi davanti a un tribunale e rispondere a degli interrogatori sempre più stringenti, e soprattutto a subire l’umiliazione e il disprezzo per chi viene sospettato, sentendosi sempre più isolato in mezzo ai propri simili. Ogni aspetto della sua esistenza muta impercettibilmente, ogni dettaglio appare in una luce differente e vieppiù sinistra man mano che il procedimento giudiziario procede e sembra definirsi più nitidamente agli occhi degli agli la sua colpevolezza, a dispetto di una condotta lineare e di una vita integerrima, pienamente confacente alla sua posizione sociale, secondo l’etica e il costume dell’epoca.
“Circo Kafka” trasferisce la tragedia ridicola, o la tragica farsa di Josef K. precipitato dentro una macchina infernale, in cui cerca di districarsi invano restando sempre più impigliato nei meccanismi di una giustizia cieca e imperturbabile, in una sorta di padiglione delle meraviglie o forse nel carrozzone di un artista, un malinconico clown, insieme carnefice e vittima di se stesso in un intrigante gioco di specchi incentrato sullo straordinario talento istrionico di un funambolico Roberto Abbiati, attore e mimo, musicista e performer, inventore di una sorprendente e enigmatica maschera in cui si riflettono i pensieri e gli stati d’animo dell'(anti)eroe del dramma, nel tempo sospeso di un’attesa dolorosa, nel carcere senza sbarre visibili che è in realtà la gabbia della sua mente, prima dell’inevitabile e prevedibile condanna alla pena capitale.
Sulla falsariga del romanzo, scritto tra il 1914 e il 1915 e mai completato dall’autore, pubblicato postumo nel 1925 a opera di Max Brod, che trasgredì così le indicazioni dell’amico, “Circo Kafka” racconta attraverso una rigorosa partitura gestuale, impreziosita dalla suggestiva colonna sonora a cura di Claudio Morganti e Johannes Schlosser, una disavventura inquietante e terribile, in cui incorre un cittadino divenuto oggetto all’improvviso e a sua insaputa dell’attenzione dell’autorità. La favola nera inventata da Franz Kafka rivive sulla scena in una chiave onirica e fantastica, in una sorta di “circo da camera” in cui Roberto Abbiati appare come burattinaio e marionetta “animata”, suona e fischietta, recita una sorta di soliloquio che culmina nel grido doloroso “Come un cane!” con cui si complie l’estremo sacrificio. ossia l’atto conclusivo del martirio di un uomo che non ha mai smesso di proclamare la propria innocenza, ma obbligato a assistere se non a partecipare, inerme e amareggiato alla propria rovina.
Nella sua sventura Josef K. affronta una serie di situazioni e eventi inspiegabili alla luce della ragione: la sua stanza invasa da sconosciuti in divisa o in abiti borghesi, ma egualmente minacciosi nella loro inflessibilità, con la silenziosa complicità della padrona della pensione e ancora l’intrusione nella camera di una coinquilina, la dislocazione dell’aula del tribunale in una soffitta e il ripostiglio trasformato in camera delle torture, insieme alla giustificata inquietudine di un individuo messo sotto processo, sottoposto all’arbitrio del potere e impossibilitato a difendersi, circondato da personaggi ambigui come l’avvocato e la sua assistente, le donne ospiti della pensione, i vicini curiosi, gli impiegati e il direttore della banca, l’usciere del tribunale e sua moglie, il pittore e le ragazze impertinenti, l’industriale fallito, lo zio e perfino il sacerdote / cappellano del carcere.
“Circo Kafka” condensa l’angosciosa vicenda in un atto unico intenso e emozionante, in cui emergono i momenti cruciali del romanzo, in una condizione sospesa tra vita e sogno, dove Josef K. si ritrova a fare i conti con la propria solitudine e prende coscienza della sua atroce situazione, in cui contro l’evidenza di un errore giudiziario egli non può opporre altro che la certezza della propria innocenza, ma senza prove che gli permettano di discolparsi e dimostrare la sua estraneità se non l’inesistenza di un crimine mai specificato. Il tormentoso sogno a occhi aperti diventa metafora della condizione umana e della fragilità di ciascuno di fronte alla catastrofe e al crollo delle illusioni: il protagonista ha potuto e saputo farsi strada grazie alle sue doti e alle sue capacità e a trent’anni si sente ormai al sicuro dagli imprevisti, come primo procuratore di un importante istituto bancario stimato e rispettato ha davanti a sé una brillante e insieme solida carriera finché, come un castello di carte, il suo intero universo crolla e egli si trova a annaspare nel vuoto. “Circo Kafka” restituisce il senso di indeterminatezza e scoramento, la materia sfuggente e inafferrabile del sogno, quella qualità onirica e grottesca sottesa alla scrittura di Franz Kafka, venata di un sottile humour nero, in cui gli individui sono in balìa del proprio destino e degli scherzi della sorte, mentre il potere e il complesso sistema burocratico si rivelano forze potenti, quasi divinità imperscrutabili, cui è vano appellarsi e contro cui è inutile lottare per preservare la proprie dignità e integrità mentale e morale, tanto meno la speranza di un futuro e la propria ideale e ipotetica felicità.
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