Una favola poetica e crudele in scena con “La Guardia alla Luna” dal dramma di Massimo Bontempelli, con adattamento e regia di Salvatore Della Villa, nell’interpretazione di Chiara Serena Brunetta, Alfredo Traversa, Salvatore Della Villa, Elisabetta Tucci e Serena Serra, sulle tracce sonore a cura di Gianluigi Antonaci, produzione della Compagnia Salvatore Della Villa, in cartellone sabato 30 novembre alle 20.30 (mentre è stata annullata la replica di domenica 1 dicembre alle 19.30) al TsE di Is Mirrionis in via Quintino Sella a Cagliari per il quinto appuntamento della Stagione 2024-2025 di “Teatro Senza Quartiere” organizzata dal Teatro del Segno con la direzione artistica di Stefano Ledda – nell’ambito del progetto pluriennale “Teatro Senza Quartiere / per un quartiere senza teatro” 2017-2026 – con il patrocinio e il sostegno della Regione Autonoma della Sardegna e del Comune di Cagliari e con il contributo della Fondazione di Sardegna.
Viaggio ai confini della follia con la tragica storia di Maria, una donna che ha perduto la figlia ma, incapace di accettare la triste realtà, si persuade che la creatura sia stata rapita dalla Luna e decide quindi di sorvegliarla per impedirle di portar via altri bambini per trasformarli in raggi di luce: la sventurata madre incontra una serie di personaggi – la Suora e la Donna, il Delegato, i due Naviganti, l’Adolescente, la Ruffiana, la Meretrice, la Compagna di Prigione, l’Amico, la Fidanzata, il Cameriere – che rappresentano i fantasmi del passato o le proiezioni della sua mente, in un racconto per quadri sospeso tra vita e sogno. Una favola arcana – che rimanda all’immaginario popolare e alle fantasticherie sulle morti infantili, nel tentativo di dare un nome e un senso a un dolore inconsolabile – declinata in chiave moderna, tra la stanza di un ospedale e la cella di un carcere come in un albergo, ma pur sempre in una dimensione onirica che riflette la confusione della protagonista, immersa nel suo lutto e nella sua personale ossessione per la sua “nemica”.
Ne “La Guardia alla Luna”, un dramma moderno che risente della visione futurista e del superamento del Romanticismo, si ravvisano echi e corrispondenze con l’Espressionismo, in particolare nella struttura in sette quadri come in uno Stationendrama di August Strindberg, però la costante presenza di Maria, che rappresenta il cuore e il perno dell’intera vicenda, garantisce l’unità e la coerenza dell’opera. «Nella sua spettrale irrealtà, scorre la pietà, alimentata dal senso della miseria del “fantoccio” umano – sottolinea il regista Salvatore Della Villa che mette l’accento sull’empatia per l’angoscia per la donna prigioniera dell’assurdo –. Maria, dinanzi ai fantasmi del suo mondo illusorio, è in bilico fra il tragico e il grottesco, investita dall’ironia dell’autore, ora triste, ora beffarda, ora spietata, ora bonaria».
Il sipario si apre su una stanza d’ospedale mentre Maria veglia la sua piccina defunta, che ella crede solo addormentata, e dopo una sua breve assenza, ritrovando il lettino vuoto, poiché il corpicino è stato portato via, illuminato dalla luce lunare, nel suo delirio la donna si convince che l’astro notturno abbia rapito la sua creatura e nel tentativo di mettere fine al maleficio e salvare gli altri bambini, parte alla ricerca del varco attraverso cui la luna s’insinuerebbe nel mondo. Il finale è inevitabilmente tragico: la donna paga con la sua stessa vita la propria follia, in un estremo sacrificio, fino a ricongiungersi idealmente con la figlia perduta.
«Maria, figura mistica legata al Dio del Cristo che si porta alla Croce, disperata e consapevole follia che non perdona il rapimento della piccola, forte e lucida madre, tenace, alla ricerca della vendetta sana per il suo amore e per tutte le madri» – prosegue Salvatore Della Villa –. «E nella sua rabbia cerca la sua resurrezione – cioè impedire alla maledetta luna di compiere altri delitti – vestita nella menzogna del suo dolore come lo è Donn’Anna Luna di Pirandello che rinnega il figlio morto per non separarsene… L’assenza della bambina, presente tanto quanto il lamento che ci appartiene, ma che non conosciamo, che non riusciamo ad ascoltare se non in un vago ricordo».
“La Guardia alla Luna” – raffinata e sorprende opera teatrale di Massimo Bontempelli, scritta nel 1916 e pubblicata nel 1920, rappresentata dalla compagnia di Virgilio Talli a Milano nel 1920 e messa in musica dal compositore argentino Enrique Mario Casella all’inizio degli Anni Trenta – si inserisce nalla vasta produzione dello scrittore, giornalista e critico letterario, drammaturgo e poeta, figura di spicco della cultura italiana del Novecento, amico di Alberto Savinio e Giorgio De Chirico, fondatore con Curzio Malaparte della rivista internazionale “900 – Cahiers d’Italie et d’Europe”, Accademico d’Italia e vincitore del Premio Strega nel 1953 per “L’amante fedele”. Fecondo autore di racconti e romanzi, tra cui “La vita intensa” e “La vita operosa”, di ispirazione futurista come la raccolta di poesie “Il Purosangue”, e ancora “La scacchiera davanti allo specchio” e “Eva ultima”, “Il figlio di due madri”, “Vita e morte di Adria e dei suoi figli” e “Gente nel tempo”, oltre che di articoli e saggi, Bontempelli si dedica con un certo successo al teatro, da “La Guardia alla Luna” e “Siepe a nordovest” a “Cenerentola” e collabora anche con la compagnia di Luigi Pirandello, per cui scrive “Nostra Dea”, interpretata da Marta Abba e “Minnie la candida”.
Su “La Guardia alla Luna”, riprendendo in mano il testo anni dopo, Massimo Bontempelli scrive: «mi si presenta come un curioso rigurgito e precipitato di tutti quei vizi in cui brancolammo cercando una liberazione: sentimentalismo, realismo, colorismo, estetismo, folklorismo, frammentarismo, impressionismo; quasi che l’autore ne abbia fatto un fuoco gettandoveli tutti ciecamente a bruciare, nell’atto stesso che credeva di servirsene, come materiale di costruzione». Un’opera teatrale che fonde la cultura popolare e il crudo realismo, per affrontare l’indicibile: il dolore di una madre per la perdita della propria creatura può trovare forma sulla scena soltanto attraverso la trasfigurazione dell’arte, dove il teatro si fa poesia.