Mohamed Jabaly è un giovane regista palestinese nato a Gaza che vive in Norvegia. Il suo lungometraggio “Life is beautiful” racconta il dolore e la sofferenza di un intero popolo e le difficoltà che un cittadino palestinese deve affrontare anche lontano dalla sua terra a causa dell’incapacità della politica internazionale di trovare soluzioni che abbiano semplicemente un fondamento di umanità.
Mohamed dimostra, con malinconia ma anche con un pizzico di ironia, come aggrapparsi alla bellezza e alla speranza possa tracciare una possibile via per intravedere il futuro, attraverso un diario di esperienze che l’hanno accompagnato per sette lunghi anni.
“Life is Beautiful” di Mohamed Jabaly
Il lungometraggio “Life is Beautiful” segue la vita del regista per oltre sette anni.
Mohamed Jabaly era stato invitato nel 2014 a Tromsø, in Norvegia, per prendere parte ad un festival cinematografico. Le difficoltà si presentano fin da subito perché lasciare la striscia di Gaza non è un’impresa semplice: quando riesce, finalmente, ad arrivare in Norvegia, i confini con la sua terra si chiudono definitivamente a causa della guerra.
In Norvegia Mohamed Jabaly, come la maggior parte dei palestinesi, è considerato un apolide, un individuo senza cittadinanza. Inizia così il suo calvario: la sua domanda per il visto viene rifiutata e si vede negato un permesso di lavoro come artista perché non possiede un titolo di studio. Così, dopo diversi ricorsi, decide di portare il suo caso in tribunale.
Quando Mohamed riesce, dopo lunghe battaglie, a vincere la sua causa, Gaza viene di nuovo attaccata e questa situazione lo pone di fronte a una pesante e tormentata scelta: restare in Norvegia o tornare a casa. Quando Mohamed torna a Gaza dai suoi familiari, non senza difficoltà, la sua gioia e la sua commozione sono incontenibili. In tutti questi anni un pensiero è sempre stato rivolto alla mamma, che l’ha sempre appoggiato e sostenuto in ogni suo progetto e il documentario è dedicato proprio a lei.
In questo lungo e tormentato periodo Mohamed è come se avesse vissuto due vite parallele: quella reale, nella fredda e innevata Norvegia, e quella online, che gli ha consentito di trovare il conforto e l’affetto di familiari ed amici lontani.
Un dualismo che spezza la serenità di Mohamed, diviso tra il suo sogno di continuare ad essere un regista di successo e di vivere l’amore dei suoi cari. Una scelta lacerante alla quale nessuno dovrebbe essere costretto.
L’importanza di far sentire la propria voce
In collegamento da Amsterdam il regista ha manifestato il suo impegno e la sua volontà di sostenere, anche in questo momento difficile, il suo popolo.
“Le parole non possono descrivere cosa significa vivere in questa condizione, cosa significa essere esiliati.
Il documentario è basato sulla mia vita, su cosa è successo a me. Non avrei mai immaginato di stare così tanto tempo lontano dalla mia famiglia e non ho scelto di vivere queste difficoltà. Ho deciso di documentare tutto non sapendo cosa sarebbe accaduto. Ho iniziato nel 2020 a selezionare tutti i video e le foto per il film; dovevo proporre qualcosa ai miei produttori per capire come costruire il film.
Quello che ho ripreso è simile a quello che sta accadendo oggi. Ho perso molti amici e molti familiari in questi anni, non sappiamo quando finirà questa guerra a Gaza e quando la sofferenza finirà per il mio popolo.
Sento ancora la necessità di raccontare quello che sta succedendo. La storia continua e sento che sono in una situazione in cui devo trovare un’altra via per raccontare quello che sta accadendo oggi, ma devo capire che tipo di storia raccontare”.
Il regista
Mohamed Jabaly, classe 1990, si è affermato come regista con il documentario “Ambulance”, pluripremiato nei festival di tutto il mondo.
Jabaly risiede in Norvegia dal 2014 e si è distinto non solo come cineasta ma anche come formatore, impegnato in progetti educativi e laboratori di cinema per giovani. Attualmente sta completando un master presso l’Accademia Nazionale d’Arte di Oslo.
Elena Elisa Campanella