Beniamino Zuncheddu si racconta in “Io sono innocente”: presentato il libro sulla storia dell’ingiusta carcerazione di un ragazzo e dei suoi 33 anni in carcere
La sera del 6 di dicembre si è tenuto un evento organizzato da Lions Club, associazione di assistenza sociale senza scopo di lucro, presso il Caesar’s Hotel di via Darwin a Cagliari. L’esibizione ha avuto come oggetto la presentazione del libro “Io sono innocente”, scritto a quattro mani da Beniamino Zuncheddu e dal suo avvocato Mauro Trogu (presente all’illustrazione) e avente come argomento l’intrigante episodio giuridico ed umano vissuto dallo stesso Zuncheddu, accusato negli anni Novanta dell’omicidio di tre uomini e per questo imprigionato ingiustamente per la bellezza di 33 anni.Lo Stato (ed una giustizia) che non funziona, corrotto nelle sue istituzioni e nei suoi rappresentanti; la storia strappalacrime di un uomo, ragazzo al tempo, trovatosi dietro le sbarre senza motivo alcuno; la competenza dell’avvocato Trogu, che snocciola con meticolosa attenzione i fatti primari della vicenda, affidando agli ascoltatori una ricostruzione degna di nota; e tante, tante domande ancor rimaste senza una risposta. Questi solo alcuni temi della serata, presentata da Felicina Atzeri in una sala gremita di ospiti.
Trogu: “Storia complessa, ci siamo battuti per la libertà”
Una storia complessa quella che ci racconta l’avvocato Mauro Trogu, iniziatore della presentazione del libro. Risale ai primi anni Novanta, a Burcei, alla campagna, a racconti dall’alone mistico, a brutalità e sangue.
“L’8 gennaio del 1991 sono stati uccisi tre uomini e ferito gravemente un altro presso un ovile: le vittime sono Gesuino Fadda, il figlio e un servo pastore (Ignazio Pusceddu). Una quarta persona sopravvive, rimanendo gravemente ferita a seguito di due spari: si tratta di Luigi Pinna, un altro servo pastore. Tutto ciò succede nel buio e nella quiete della notte.”
“Il testimone oculare della vicenda viene interrogato in quanto sospettato per i primi due mesi dell’indagine. Dichiarerà di aver solo e soltanto udito gli spari, poiché il buio non permise di scorgere alcun altro tratto dell’omicida, se non un collant addosso. L’aggressore, insomma, irrompe nella proprietà di Fadda e spara dei colpi improvvisi che freddano sul colpo padre e figlio”
“I due servi pastori si nascondono nel dormitorio, ma vengono raggiunti; Pusceddu cadrà sotto i colpi del semiautomatico, Pinna invece riporterà solo gravissime ferite nella spalla e nel femore. Dettaglio fondamentale da tenere a mente: l’azione, stando alle prime testimonianze, è stata rapida e improvvisa”
“Questo è ciò che i carabinieri di Cagliari e Quartu Sant’Elena registrano nelle prime relazioni di servizio. Viene intuito che questi omicidi, per crudeltà e gravità, siano stati compiuti da un professionista, molto probabilmente per faccende di importante principio. Pinna aveva sentito l’assassinio esclamare, in italiano, “Fuori di qui!”.”
“I carabinieri sentirono allora Paolo Melis, un servo pastore che aveva lavorato per Gesuino sino a tre mesi prima. Egli raccontò di aver incontrato Giuseppe Fadda a Sinnai, che gli avrebbe rivelato di aver ricevuto una minaccia da un pastore. “Quello che stai facendo alle mie vacche lo farò a te” (Giuseppe e padre erano soliti ad allontanare le vacche che si avvicinavano nei loro terreni); un parente di tale Armando Pisu, probabilmente.”
“Mario Uda, assistente della Criminalpol, era un poliziotto in cerca di moventi. Interrogò Paolo Melis più e più volte, in orari e luoghi sospetti, attento probabilmente che nessuno sentisse il succo di quei dialoghi; non verbalizzò nulla. Paolo Melis confessò di aver mentito nelle testimonianze del 9 gennaio: conosceva quel ragazzo che aveva minacciato Fadda, il suo nome era Beniamino Zuncheddu, un pastore di 26 anni che lavorava a Burcei.”
“Improvvisamente, anche il testimone oculare, Luigi Pinna, confessa di aver mentito: l’aggressione è avvenuta alla luce, e se gli avessero mostrato delle foto, avrebbe riconosciuto l’aggressore. Indica Beniamino.”
…Un parente di tale Armando Pisu..
…Quello che stai facendo alle mie vacche lo farò a te…
Ma Beniamino non è parente di Armando Pisu. Né pascola le vacche.
“Il testimone oculare aveva certamente mentito poiché costretto dal poliziotto. Ma, dopo 16 udienze in un mese, la Cassazione il 21 dicembre del 1992 condanna Beniamino Zuncheddu all’ergastolo.”
Zuncheddu: “Non ho mai mentito. Innocente da sempre”
Le modalità sospette del caso sono chiare ed alla luce del sole. Ma nessuno muove un dito; e Beniamino passa 33 anni in prigione, scagionato poi solo grazie all’interesse di chi alla vicenda si è voluto avvicinare sol per reale senso di giustizia.
Quando l’avvocato Trogu e la Garante regionale delle persone private della libertà personale Irene Testa si sono recati al carcere per conoscerlo e per delineare meglio i punti di questa assurda vicenda, hanno trovato un uomo in difficoltà e in uno stato di salute alterato e malconcio.
“In carcere ero un’altra persona. Vivere per così tanti anni convivendo con dieci o più delinquenti veri in stanza non è cosa da poco. Le condizioni igieniche erano tremende e l’ambiente era severo. Usufruivo di pochi permessi di 45 giorni per poter riavvicinarmi alla famiglia.”
“La liberazione condizionale prevede che io debba ammettere di essere colpevole per uscire. Cosa che non ho mai fatto. Gli agenti sono sempre stati sorpresi: non ho mai cambiato versione”
“Il risarcimento? L’importante è che io sia libero”
Ciò che mi ha più colpito, e anzi quasi commosso, è stata la pacatezza che Beniamino ha dimostrato quando il tema del risarcimento e dei danni morali ha preso piede. Gli animi della sala hanno iniziato ad infervorarsi, quasi come a pretendere giustizia (o vendetta, altroché). Mai mi sarei permesso di dissuaderli, ma più che disquisire su come colpire i malfattori, mi sono interessato ad altro.
Lo Stato è corrotto, la classe politica è una barzelletta, l’Italia come Nazione va a rotoli. Ne è specchio il fatto che i corrotti malfattori che di fatto hanno condannato Beniamino non siano stati ancora puniti. E giustamente dalla sala volavano epiteti, e si chiedevano le teste. Ma riflettiamo un attimo sulle sue parole: non è potuto uscire perché non ha ammesso di essere colpevole. Che razza di regola è? L’Europa ha rimproverato spesso l’Italia per non aver riconosciuto il diritto del detenuto di dirsi innocente anche dinnanzi a una condanna certa; e per fortuna, le cose sono cambiate. Forse è su queste dinamiche che si dovrebbe ragionare, come paese. E credo che garantire un simile diritto a dei futuri Beniamino, che vivranno (ci si augura di no) delle simili sventure, sia una vittoria ben più grande che una mera vendetta nei confronti degli esecutori di questo triste episodio.
Simone Soro