Giuseppe Boy, classe 1959, è attore di cinema e teatro, poeta e musicista: ha partecipato a serie tv come “Romulus” (2020) di Matteo Rovere, al film “La coda del diavolo” (2024) di Domenico De Feudis e ha prestato la sua voce per interessanti podcast quali “Memorie di un manicomio: le voci di Villa Clara”, tratto dai racconti di Giorgio Pisano e prodotto da Nemesis Magazine.
Il suo ultimo libro di poesie “Blu è il colore del mondo” è stato pubblicato nel settembre 2024 per edizioni Ensemble. “L’occhio di San Salvatore” della regista Roberta D’Aprile lo vede protagonista e vincitore del premio come miglior attore di cortometraggi al MiraBan UK Film Awards di Londra.
Che importanza ha avuto per te ricevere questo premio?
“Ricevere questo premio per me è stato qualcosa di grandioso! Era già un riconoscimento aver ricevuto la candidatura. Per quanto sia un premio abbastanza giovane, che esiste da cinque anni, è una realtà che si occupa principalmente di cinema indipendente e questa è una cosa che artisticamente mi fa particolarmente piacere.
L’ho trovato un grande riconoscimento e per me è stata una soddisfazione enorme! Sono davvero felice non solo per il premio che ho ricevuto personalmente ma anche, e forse anche di più, per il premio al film come miglior corto internazionale”.
La lavorazione del progetto
“È stato un progetto intensissimo dal punto di vista emozionale: la regista Roberta D’Aprile ha frequentato i corsi all’Università del dipartimento produzione audiovisiva di Antioco Floris. Con il gruppo di ragazze che seguivano i corsi ha proseguito poi con uno stage pratico sul set di Salvatore Mereu. Da qui è nata l’idea di progettare un corto da presentare al premio ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico) che le ha consentito di realizzare il progetto. La cosa bella è stata che questo gruppo di ragazze ha contribuito attivamente al progetto con solidarietà, partecipazione e passione.
Perché il cinema è davvero un lavoro di squadra: tutti concorrono contemporaneamente allo stesso obiettivo e questa è proprio la forza del cinema. Un progetto nato con questa spontaneità che si vede riconosciuto un premio internazionale è una grande soddisfazione!
Dal primo incontro con la regista ho capito immediatamente che aveva delle potenzialità interessanti e ho accettato subito la proposta!”.
Come è stato lavorare a questo corto?
“Il corto ha una dimensione diversa di lavoro rispetto a un film come, ad esempio, “La coda del diavolo”; si crea una dimensione quasi familiare ma non cambia, ovviamente, il livello di professionalità e di intensità rispetto a un film”.
Che valore ha un corto di questo tipo, incentrato sul territorio e sull’immagine, nella valorizzazione di questo aspetto?
“Secondo me può avere un grandissimo valore. Quando ho fatto la presentazione a Londra ho ricevuto molte domande riguardanti il luogo e la curiosità che suscitava un posto del genere. Per me è stato importante anche la valorizzazione di un altro elemento, ovvero la luce e i colori: alla presentazione di Londra sono stati notati in modo davvero particolare e hanno catturato l’attenzione. La profondità di campo e l’intensità di luci e colori hanno un rilievo importante, danno maggiore spazio e valore al film stesso.
Questi elementi hanno suscitato forte interesse nel pubblico presente, sia da un punto di vista paesaggistico sia da un punto di vista culturale.
In tutti i film che vengono girati in Sardegna il paesaggio riveste un ruolo fondamentale perché ci sono immagini con luoghi suggestivi e particolari e, soprattutto, diversi. Credo che il cinema da questo punto di vista sia un veicolo fondamentale.
Quasi tutte le location dei film girati in Sardegna sono realizzate attraverso la collaborazione con la Sardegna Film Commission tramite l’opera di Simone Contu, che riveste un ruolo determinante sia per le produzioni locali sia per quelle nazionali o internazionali perché seleziona e ricerca i luoghi per poi proporli alle produzioni”.
Su quali caratteristiche del personaggio hai lavorato maggiormente e cosa ti lascia questa interpretazione?
“L’elemento del quale mi sono preoccupato maggiormente era il silenzio, il fatto che lui non parlasse: quindi ho cercato di esprimere l’essenza del personaggio attraverso l’essere e, ovviamente, gli sguardi che vengono colti dalla regista e ancora di più dal direttore della fotografia Maurizio Abis.
Il mio lavoro è consistito soprattutto nell’essere presente: l’attore, per arrivare all’essenza, deve togliere. Questa è sempre stata la mia ricerca anche nel lavoro teatrale.
Il personaggio mi ha lasciato un concetto sul quale sto riflettendo tutt’oggi, un concetto non facile da esprimere, ovvero l’appartenenza ad un determinato luogo. Con la scena finale del corto il personaggio appartiene a quel luogo, alla natura, al mare e all’insieme.
Anche la difesa gelosa della propria intimità legata a quel luogo viene messa in secondo piano da un’altra considerazione, ovvero il fatto che il tuo luogo sia amato dagli altri, che è una cosa importante ma gli altri dovrebbero avere la stessa attenzione che abbiamo noi nella cura e nel rispetto del luogo.
Per noi è importante essere ‘di qui’, appartenere a ‘quel luogo’ ma essere aperti al mondo. Non possiamo chiuderci troppo”.
E’ possibile vedere il corto “L’occhio di San Salvatore” della regista Roberta D’Aprile su streamauteur.com.
Elena Elisa Campanella