Storia di Tiberio, insegnante in pensione, sulle tracce di un antico delitto per trarne il soggetto per una puntata di una trasmissione televisiva in “Zafferano” (Il Maestrale 2025), romanzo d’esordio di Giampiero Muroni in cui si intrecciano antiche cronache e ricordi personali, mentre il protagonista si ritrova a fare i conti con se stesso e con il proprio passato: la parola all’autore, in un dialogo con Domenico Arena, giovedì 20 marzo alle 18 nel Foyer del Teatro Massimo di Cagliari per un nuovo appuntamento con Legger_ezza 2025, il progetto di Promozione della Lettura del CeDAC Sardegna in collaborazione con la Libreria Edumondo.
Un libro avvincente incentrato sulla figura di un uomo non più giovane, ma non ancora rassegnato alla solitudine, che rimette insieme i pezzi della propria esistenza, tra rimorsi e rimpianti, dal difficile rapporto con il padre alla lontananza dal fratello, dal matrimonio con Luciana alla complicata relazione con Elisabetta e ancora la difficoltà nel comunicare con il figlio Luigi: nella routine delle sue giornate, tra le visite settimanali all’anziano genitore e le rare telefonate con i familiari, si inserisce la proposta inattesa di lavorare su un “giallo”, un caso irrisolto dei primi del Novecento.
Un imprenditore ucciso di notte in un agguato a pochi metri da casa, in un paesino della Sardegna: un “cold case” su cui costruire nuove ipotesi, stabilire possibili moventi e identificare presunti colpevoli, come materiale per una puntata di una nuova serie intitolata, appunto, “Zafferano”. L’idea parte da Elisabetta, una delle donne importanti della sua vita e il progetto diventa l’occasione per ripensare a quell’amore di gioventù, mai finito o forse mai davvero incominciato, in un gioco di fughe e inseguimenti, brevi parentesi di passione e lunghi silenzi.
Il romanzo si snoda tra le vicende quotidiane di Tiberio, con lunghi flashback e amare riflessioni e le sue ricerche d’archivio e “sul campo” per far emergere la verità sulla morte di Gabriele Angius districandosi tra documenti e testimonianze su un omicidio rimasto impunito, «legato ai meccanismi di una piccola comunità sarda… dove tutti sembrano colpevoli quanto innocenti». E nel frattempo Tiberio si trova a «riconsiderare i rapporti con il padre e il figlio, con la moglie morta, con la stessa Elisabetta: come se la storia lontana di quel fatto di sangue gli fornisse strumenti per comprendere meglio la propria».
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