Focus sulle paure superstiziose e sulla loro influenza nella vita quotidiana con “Non è vero ma ci credo”, fortunata commedia di Peppino De Filippo incentrata sulla figura del commendator Gennaro Savastano, interpretato da un istrionico Enzo Decaro, sul palco con Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino, Carmen Landolfi, Massimo Pagano, Gina Perna, Mario Cangiano, Ciro Ruoppo, Fabiana Russo e Ingrid Sansone, con scenografia di Luigi Ferrigno, costumi di Chicca Ruocco e disegno luci di Pietro Sperduti, per la regia di Leo Muscato, produzione I Due della Città del Sole, in cartellone – in prima regionale – mercoledì 26 marzo alle 20.30 al Teatro Centrale di Carbonia, poi giovedì 27 marzo alle 20.30 al Teatro Bocheteatro di Nuoro, venerdì 28 marzo alle 21 al Cine/Teatro “Olbia” di Olbia, sabato 29 marzo alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania e infine domenica 30 marzo alle 21 al Teatro Civico “Gavì Ballero” di Alghero sotto le insegne della Stagione di Prosa 2024-2025 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Autonoma della Sardegna e dei Comuni aderenti al Circuito e con il contributo della Fondazione di Sardegna.
Scritta all’inizio degli Anni Quaranta, la pièce, da cui è stato tratto l’omonimo film del 1952 diretto da Sergio Grieco, con Peppino De Filippo nel ruolo del protagonista, racconta la storia tragicomica di uomo ossessionato dall’idea della iettatura che di fronte a un andamento negativo degli affari, ne attribuisce la responsabilità a un impiegato, Belisario Malvurio, al punto da licenziarlo mentre in casa esercita la propria autorità di capofamiglia, ostacolando le inclinazioni della figlia Rosina per un giovane c’egli non conosce ma considera senz’altro non altezza della posizione sociale della ragazza. Nella sua credulità, che lo rende facilmente suggestionabile e particolarmente sensibile ai segnali fausti e infausti della sorte, il ricco imprenditore Gennaro Savastano rappresenta una moderna maschera, un individuo dal comportamento irrazionale e stravagante, che dopo aver accumulato un consistente patrimonio lavorando alacremente, invece di sentirsi appagato e godere dei vantaggi della sua nuova condizione, ottenuta con impegno e fatica, continua a tormentarsi nel timore di un imminente rovescio o di una improbabile sciagura capaci di ridurlo sul lastrico.
Il ritratto di un uomo ridicolo insomma, che per scansare pericoli immaginari finisce per creare situazioni imbarazzanti e problemi reali, perché l’impiegato licenziato ingiustamente potrebbe davvero muovergli causa e pretendere un risarcimento, mentre costringe la moglie e la figlia a rinchiudersi in casa e limita ferocemente le spese, spinto da un eccessivo amore per il denaro. Nel mettere in scena “Non è vero ma ci credo” – uno dei primi spettacoli cui aveva partecipato, ai suoi esordi in teatro con la compagnia di Luigi De Filippo – il regista Leo Muscato rende implicitamente omaggio all’attore, commediografo e regista partenopeo (scomparso nel 2018), che è stato suo maestro, oltre che al talento di un artista come Peppino De Filippo, dalla straordinaria vis comica, figura di spicco della cultura italiana del Novecento, dal palcoscenico agli irresistibili duetti sul grande schermo con Antonio De Curtis in arte Totò. La commedia si inserisce nella grande tradizione del teatro partenopeo, ma reinterpretato in chiave moderna: «Peppino De Filippo aveva ambientato la sua storia nella Napoli un po’ oleografica degli anni 30» – ricorda Leo Muscato, uno dei più interessanti registi del panorama contemporaneo –. «Luigi aveva posticipato l’ambientazione una ventina d’anni più avanti. Noi seguiremo questo sua intuizione avvicinando ancora di più l’azione ai giorni nostri, ambientando la storia in una Napoli anni 80, una Napoli un po’ tragicomica e surreale in cui convivevano Mario Merola, Pino Daniele e Maradona».
“Non è vero ma ci credo” – in forma di atto unico, che condensa la vicenda con “un ritmo iperbolico” assai adatto a enfatizzare gli effetti grotteschi e paradossali – affronta il tema della superstizione attraverso il caso esemplare di un uomo che nel tentativo di prevenire i capricci della sorte rischia di provocare la propria rovina: «Il protagonista di questa storia assomiglia tanto ad alcuni personaggi di Molière che Luigi De Filippo amava molto» – sottolinea Leo Muscato –. «L’avaro, avarissimo imprenditore Gervasio Savastano, vive nel perenne incubo di essere vittima della iettatura. La sua vita è diventata un vero e proprio inferno perché vede segni funesti ovunque: nella gente che incontra, nella corrispondenza che trova sulla scrivania, nei sogni che fa di notte. Forse teme che qualcuno o qualcosa possa minacciare l’impero economico che è riuscito a mettere in piedi con tanti sacrifici. Qualunque cosa, anche la più banale, lo manda in crisi».
Una sorta di nevrotico, vittima della sua fissazione, che domina ogni aspetto e ogni momento della sua esistenza: infatti «chi gli sta accanto non sa più come approcciarlo» – prosegue Leo Muscato –. «La moglie e la figlia sono sull’orlo di una crisi di nervi; non possono uscire di casa perché lui glielo impedisce. Anche i suoi dipendenti sono stanchi di tollerare quelle assurde manie ossessive». Ma i comportamenti del protagonista non sono privi di conseguenze, anzi potrebbero condurre la famiglia alla catastrofe: « a un certo punto le sue fisime oltrepassano la soglia del ridicolo: licenzia il suo dipendente Malvurio solo perché è convinto che porti sfortuna. L’uomo minaccia di denunciarlo, portarlo in tribunale e intentare una causa per calunnia» – racconta Muscato –. «Sembra il preambolo di una tragedia, ma siamo in una commedia che fa morir dal ridere. E infatti sulla soglia del suo ufficio appare Sammaria, un giovane in cerca di lavoro. Sembra intelligente, gioviale e preparato, ma il commendator Savastano è attratto da un’altra qualità di quel giovane: la sua gobba. Da qui partono una serie di eventi paradossali ed esilaranti che vedranno al centro della vicenda la credulità del povero commendator Savastano».
Nella sua stravaganza e nei suoi eccessi, Gennaro Savastano, nato dalla fantasia di Peppino De Filippo, incarna il dramma di coloro che fanno di una idée fixe il perno della propria esistenza, al punto da compromettere la propria credibilità oltre ai rapporti interpersonali e la superstizione continua a esistere anche nel terzo millennio. Tra sedicenti maghi e veggenti, che utilizzano la rete per attrarre nuovi e fiduciosi clienti, approfittando della vulnerabilità e delle paure altrui per trarne guadagno, offrendo in cambio la temporanea rassicurazione di aver compiuto i corretti riti per tenere lontana la sventura o magari conquistare il cuore della creatura amata si affermano i moderni miti, come l’infallibilità delle macchine di fronte all'”errore umano” al potere della scienza, peraltro messo in discussione dai “terrapiattisti” come dai “no-vax”.
Fin nel titolo “Non è vero ma ci credo” sintetizza perfettamente l’atteggiamento di chi, suo malgrado, pur razionalmente persuaso dell’infondatezza di certe credenze, “nel dubbio” preferisce attenersi a certi comportamenti e compiere gli opportuni atti apotropaici, perché in fondo “non si sa mai” e certo non sarebbe male, qualora possibile, accaparrarsi i favori della fortuna… naturalmente senza esagerare e senza farsi troppo condizionare, come accade al protagonista della commedia, che oltre a far impazzire chi lo circonda rischia davvero di precipitare nel baratro per la sua mania.